Giovedì 14 settembre 2017 ho riscoperto Mozart ascoltando Alexander Lonquich eseguire il suo Concerto n. 17 KV 453 al Teatro Zandonai di Rovereto. Non avevo mai ascoltato un Mozart così, o forse non avevo mai capito Mozart fino ad allora. Di fatto poi non ho mai smesso di guardare a Lonquich come uno dei più grandi interpreti della scena internazionale, e non solo per Mozart, ma anche per Schubert – il suo Schubert 1828 inciso per Alpha-Outhere ha ricevuto il prestigioso “Preis der deutschen Schallplattenkritik 2019” – e per Beethoven. L’ultima chicca pubblicata da Lonquich nel 2020 è infatti l’integrale delle Sonate per violoncello e pianoforte e le Variazioni di Beethoven, un doppio CD realizzato su strumenti storici in collaborazione con Nicolas Altstaedt e pubblicato per Alpha Classics.
Lonquich strega il pubblico quando al pianoforte dirige un’orchestra: ha guidato importantissime compagini orchestrali del calibro della Royal Philharmonic Orchestra o della Camerata Salzburg, e dal 2014 è Direttore Principale dell’Orchestra del Teatro Olimpico. Una curiosità da segnare in agenda? Il 21 maggio dirigerà in diretta per il Teatro La Fenice (https://www.youtube.com/watch?v=bfINbazrIqo) proprio il Concerto n.17 di Mozart di cui parlavo sopra: è un appuntamento da non perdere.
Infine Lonquich non è solo un musicista, ma un pensatore, nel senso vero del termine. Assieme alla moglie Cristina ha fondato Kantoatelier, un piccolo spazio teatrale collocato nella propria abitazione fiorentina dove, oltre alla musica, approfondisce psicologia e teatro.

La musica. È stato amore a prima vista?
Sì, mio padre era compositore e maestro collaboratore, sono cresciuto dentro una nuvola di suoni.
In questo momento di immobilizzazione della cultura c’è qualcosa che rende più sopportabile questa mancanza?
Croce e per ora ben poca delizia: quella dello sforzo condiviso da tanti nell’ immaginarsi la reinvenzione di un tragitto che abbia senso anche in un futuro postpandemico. Di certo non penso a una vera e propria rivoluzione, ma a una faticosa esplorazione intenta a collocare in maniera più convincente pesi e misure, rendendo meno pigra l’offerta “dal vivo”, permettendo così all’attività artistica di avvicinarsi gradualmente a una centralità che solo rinnovandosi potrebbe meritarsi.
Rimane attivo Kantoratelier, con le anteprime di Dædalus, l’innovativa proposta interdisciplinare per il musicista classico. Si può dire che qui si punta alla crescita di una persona che sappia fare il musicista?
In questi giorni ho letto con piacere le parole del designer Riccardo Falcinelli, sintetizzabili così: il talento è sì importante, ma conta molto di più l’indole di una persona. Il percorso che offriamo, centrato principalmente sull’affinità tra pedagogia teatrale e studi musicali come anche su degli esercizi ripresi dalla psicologia della Gestalt, dovrebbe aiutare ciascuno nel scoprire con maggiore precisione le proprie inclinazioni, in un mondo dove l’auspicabile maestria nel suonare uno strumento va inserito in un progetto che include spesso altre conoscenze e abilità. Purtroppo l’attività di Kantoratelier al di là di Dædalus si era dovuta azzerare. Speriamo di riaprire al più presto.
Di fronte alla capacità comunicativa della musica perché l’attenzione alla cura del sé è ancora così poco considerata nei percorsi accademici? Siamo troppo legati alla performance?
Senz’altro. Credo che prossimamente delle connessioni sinestetiche e culturali diventeranno sempre più rilevanti, nel segno di un cosmopolitismo diffuso, anche eticamente fondato.
Da settembre 2020 è diventato direttore artistico della Scuola di Musica di Fiesole. Su quali fronti vuole investire?
Chiunque visiti il sito della Scuola può constatare come essa già oggi sia frutto di un pensiero dall’ammirevole complessità culturale, unica in Italia per questo. Proprio quella complessità necessita un’attenzione particolare ai dettagli. Vorrei comunque renderla ancora più aperta a delle esperienze formative vissute da altre parti d’Europa e non solo. Dovremmo anche dare al mondo preaccademico ancora più strumenti in mano per agevolare la crescita dell’individuo: flessibilità percettiva, capacità improvvisativa, consapevolezza stilistica e psicologica.
Trovo che il suo sguardo su Mozart sia davvero illuminante. È stata la ricerca in vista dell’integrale dei Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart ad averle indicato quella particolare prospettiva? Ce la racconta?
Da bambino, per via della professione di mio padre, frequentavo tanto i teatri d’opera, la scoperta deIla grandezza di Mozart era legata all’esperienza della centralità del palcoscenico. Anche i Concerti seguono dei principi compositivi legati a una drammaturgia musicale ben precisa, ricchi come sono di elementi paralinguistici. E’ merito di varie generazioni di pionieri dediti a una rinnovata prassi esecutiva, basata sulle necessarie conoscenze storiche, l’aver reso ciò ancora più evidente di prima, anche perché coincide con un diffuso sentire contemporaneo.
Con l’Orchestra del Teatro Olimpico eseguirà il Concerto n.17 K453 in un programma che lo accosta alla Sinfonia “La Poule” di Haydn e la Quinta di Schubert. Insomma, un grande omaggio alla cultura viennese…
Sì. In Haydn si manifesta uno sperimentalismo che rende, battuta per battuta, la partitura una scoperta perenne, come se lui stesso fosse sorpreso dalla propria scrittura. Su Mozart ho risposto prima, si può precisare che qui nei tempi rapidi si manifesta tra luci e ombre un esteso senso dell’umorismo, mentre l’Andantino prende spunto appunto da una scena d’opera abitata principalmente da una vena malinconica. Schubert nella Sinfonie precedenti si era dimostrato già parecchio audace, in direzione di un suo indirizzo inconfondibile. La Quinta mi pare piuttosto una rievocazione di alcuni aspetti elegiaci del mondo mozartiano, ulteriormente illanguiditi. Anche nei tempi veloci la morbidezza delle transizioni armoniche crea un fascino da non sottovalutare.
Quali sono le sue abitudini prima di eseguire una partitura?
Cerco di entrare nello spirito dell’opera attraverso dei procedimenti sia analitici sia legati all’immedesimazione di un contenuto. Ciò avviene anche svolgendo delle attività quotidiane.
Sarà artista in residenza per Trame sonore, il rinomato festival mantovano. Che repertorio intende approfondire? E perché?
Saint-Saëns, Bizet, Fauré, Debussy, Schumann. Di base non c’è un particolare significato programmatico, si tratta principalmente del piacere di suonare un repertorio meraviglioso con dei musicisti che amo e stimo. Interessante è l’inserimento del Quintetto per pianoforte e archi di Bartók, cospicua opera giovanile, dai spunti ancora tardoromantici, ma già dimostrazione della presenza di una forte personalità. L’abbiamo recentemente inciso per l’etichetta Alpha, come del resto il Trio “Dumky” di Dvořák, presente anche esso a Mantova.
Le manca la Germania?
No, anche perché in tempi “normali” la frequento spesso.
Vino o birra?
Senza dubbio vino.
Un sogno nel cassetto.
Ne parlerò solo quando si realizzerà. Sta appunto nel cassetto.
Veronica Pederzolli
la foto in copertina è di Ivan Urban Gobbo