Filologia musicale e tecnologie digitali a colloquio con la prassi esecutiva. Puntata III.
Eccoci alla terza puntata dedicata a Filologia musicale e tecnologie digitali a colloquio con la prassi esecutiva, il convegno promosso in streaming il 12 e 13 dicembre dal Centro Studi Guidoniani della Fondazione “Guido d’Arezzo” e ora disponibile sul suo canale YouTube.
(Le puntate precedenti: 1. https://fragoleclavicembali.it/2021/01/22/come-laraba-fenice/ , 2. https://fragoleclavicembali.it/2021/02/20/polifonie-puntata-ii/ )
Siamo arrivati alla fine della prima sessione di convegno, intitolata Filologia e prassi esecutiva a confronto. Qui l’intento è il dialogo tra filologi e musicisti ed è data voce a tre importanti direttori di coro: Paolo Da Col, Lorenzo Donati e Walter Marzilli.
PAOLO DA COL (Conservatorio di Venezia) – Canti “per istromenti” e “trasportati per voci”. Le chiavette e il repertorio veneziano da concerto della basilica di San Marco
Durata: 30 minuti – video allegato da 2:36:00 a 3:06:53
Il direttore di Odechaton, ensemble di rinomato spessore che nel 2018 ha vinto il Premio Abbiati della critica musicale italiana, affronta il tema delle chiavette, un termine che – subito specifica – «non risale all’epoca in cui questa prassi era diffusa, ma è un termine coniato in epoca successiva, solo durante il XVIII secolo». Parte dunque dal riconoscimento della comodità dell’estensione vocale come uno dei prerequisiti per la buona riuscita di una polifonia e illustra il pensiero di teorici della musica come Nicola Vicentino, Pietro Ponzio e Adriano Banchieri, che vollero delimitare il confine delle quattro voci nell’ambito della «vintigesima». In questo modo non solo garantivano comodità al cantore ma facevano sì che nella scrittura ciascuna voce, con l’uso della rispettiva chiave musicale, non oltrepassasse il pentagramma.
Da Col però subito evidenzia: «Al di là dei tentativi dei teorici […], il concetto dominante questa epoca è quello della variabilità». La stessa combinazione delle quattro chiavi (SATB) non era l’unica praticata dai compositori tra XV e XVII secolo: si ricorse a gruppi di chiavi alte e, più raramente, a chiavi basse.

L’unica certezza è quel vuoto nelle fonti rispetto al problema del trasporto: il primo a parlarne è Banchieri nel 1600. Le fonti cinquecentesche su questo non si pronunciano. «Questa disattenzione sul procedimento del trasporto – precisa Da Col – deriva in realtà dal conflitto tra la sua natura di origine pratica e la nostra moderna esigenza di avere leggi e razionalizzare il trasporto, e sottoporlo a norme precise. Il nostro atteggiamento storicista anche nei confronti della prassi esecutiva ci porta a stabilire delle leggi che non sempre sono rispettabili».
Ecco che dunque Da Col enumera cinque punti cardine di questa prassi: la familiarità degli esecutori nel variare il sistema di chiave, l’usanza di evitare i tagli addizionali, l’importanza del facilitare la solmisazione attraverso il canale visivo, la necessità del compositore di conformarsi alla chiave originale del tenor, la possibilità che alcune chiavette testimonino una destinazione strumentale. Di tutto ciò Da Col fornisce preziosi esempi.
LORENZO DONATI (Conservatorio di Trento) – Sicut cervus di Palestrina nel campo minato del Web
Durata: 28 minuti – video allegato da 3:06:53 a 3:34:45
Come orientarsi nella giungla del web che propone, sui vari siti, più di 24 edizioni del Sicut Cervus di Palestrina? Donati mette subito in chiaro che prima dell’esplosione dell’online si poteva altresì parlare della giungla del cartaceo: negli anni ’90 importanti case editrici fecero uscire curiosissime trascrizioni del Sicut Cervus. Come quella di Carus-Verlag che trasporta l’impianto originale una terza sopra senza però darne alcuna informazione. O ancora come la partitura edita dai King’s Singers – ensemble vocale di riferimento ancora oggi – che non solo attribuiva il testo del Sicut cervus a Palestrina ma ne indicava anche dinamiche e colori. Sono interventi questi – come sottolinea più volte Donati – «che a livello musicologico stravolgono la partitura».
Il direttore e compositore inaugura così un excursus sulla storia della trascrizione del celebre mottetto di Palestrina, evidenziando quanto fino alla fine del 1800 non vi fosse la volontà di intervenire sulla partitura.
Tutto cambiò nel Novecento e già nel 1915 si trova un’edizione della Schirmer Edition in cui il trascrittore non solo fa una diversa scelta di intonazione, «agevolando i cori in una versione d’uso», ma aggiunge dinamiche, agonica e perfino respiri. «Qui c’è la volontà di dare un prodotto più semplice per il coro. D’altra parte in quell’epoca c’era bisogno anche di questo per far arrivare il messaggio della grandezza di questa musica. Oggi è inaccettabile usare partiture come questa», dichiara Donati, che prosegue la carrellata sulle trascrizioni fino ad arrivare, negli anni ’30, al progetto di Raffaele Casimiri. Di questo non manca di sottolinearne l’importanza per l’attenzione rivolta alle ligature, al segnalare suggerimenti per la musica ficta e nel mantenere i toni originali.

Così prova a fare un quadro di ciò che oggi succede nel web. Sulla Petrucci Music Library si pubblicano trascrizioni antichissime che hanno ormai perso i diritti di pubblicazione, su Coral Public Domain Library si trova di tutto, al punto che un direttore che non conosce l’originale è difficile sia in grado di scegliere una trascrizione. Infine mette in luce alcuni interrogativi circa le partiture proposte da Scribd, PE e quelle messe in sincrono all’esecuzione su YouTube. Consiglia la pagina di trascrizioni di coronline come esempio virtuoso.
WALTER MARZILLI (PIMS, Roma – Università di Notre Dame, South Bend, Indiana-USA) – Il suono della scrittura
Durata: minuti – video allegato da 3:34:45 a
Marzilli indossa subito i panni dell’esecutore: cosa si ha bisogno di vedere nella partitura di un brano rinascimentale per realizzare un’esecuzione storicamente informata? Con il bellissimo confronto de «abbiamo una sola Gioconda e centinaia di Quinte sinfonie di Beethoven» ricorda che «la decodifica dei segni contenuti in una partitura è proprio l’elemento qualificativo della presenza dell’esecutore».
La musica rinascimentale però pullula di complessità. Vi è infatti un’indicazione relativa della distanza fra le note non sapendo a quale scala facesse riferimento, sono molto diverse le interpretazioni dell’unità di tactus da dare al tempus imperfectum diminutum e ai segni di proporzione, come testimoniano Zacconi e Frescobaldi. Riguardo al fraseggio non sappiamo nulla. Così Marzilli si chiede se i compositori avessero la necessità di descrivere tutto ciò in partitura o se la prassi esecutiva fosse così consolidata da far sì che i cantori dovessero essere in grado di capire e interpretare l’ermeticità di quelle partiture. Ovviamente opta per questa seconda ipotesi e prosegue facendo notare alcune caratteristiche della musica rinascimentale, come quella delle tessiture delle voci – e sottolinea quanto a sua vista sia errato parlare di estensioni – che erano molto diverse da quelle di oggi: i soprani arrivavano al mi4, gli alti al la3, per esempio.

Passa poi all’analisi dei vantaggi dell’utilizzo di un’edizione semidiplomatica e individuando come ostacoli per il suo utilizzo l’uso delle chiavi antiche anche in ambito amatoriale e la necessaria dimestichezza con i valori della notazione bianca. In generale rimarca la necessità dell’esecutore di comprendere in un testo quale sia l’apporto del trascrittore per poter accettare, modificare o rifiutare il suo intervento. Conclude elencando i segni che un’esecutore moderno si aspetta di trovare in trascrizione: il custos, oggi spesso non segnalato, l’armatura originale all’inizio del brano, l’estensione delle voci per valutare la necessità di un trasporto, le alterazioni della musica ficta poste a lato o sopra le note e, infine, indicazioni precise dell’edizione di riferimento per la trascrizione nel caso dovesse essere necessario un ulteriore controllo.
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A voi il video integrale della conferenza.
figure class=”wp-block-embed-youtube wp-block-embed is-type-video wp-embed-aspect-16-9 wp-has-aspect-ratio” style=”text-align: center;”>Veronica Pederzolli