Filologia musicale e tecnologie digitali a colloquio con la prassi esecutiva. Puntata II.
Vi ricordate quella prima puntata sull’araba fenice? In questo pezzo https://fragoleclavicembali.it/2021/01/22/come-laraba-fenice/ vi raccontavo di come la rivista musicologia «Polifonie. Storia e teoria della coralità» abbia inaugurato una nuova fase della propria attività con il convegno Filologia musicale e tecnologie digitali a colloquio con la prassi esecutiva. E proprio in quell’articolo cominciavo a raccontarvi di questo importantissimo e, oserei dire, urgente convegno con la prolusione di Philippe Vendrix e il progetto di Gesualdo Online, una risorsa utilissima che dà il la a un vero dialogo tra il musicologo e l’interprete.
Oggi vorrei portarvi nel mezzo della prima sessione di questo convegno, dedicata al confronto tra filologia e prassi esecutiva. Essa prevede tre interventi di cui qui darò un assaggio.
RODOBALDO TIBALDI (Università di Pavia-Cremona) – Per una edizione delle opere di Paolo Aretino: problemi e metodi
Durata: 31 minuti – video allegato da 1:02:00 a 1:33:00
Tibaldi per prima cosa chiarisce: «il termine edizione digitale mi lascia freddo» e sottolinea quanto il supporto digitale non sia altro che un sistema di fruizione alternativo a quello tradizionale. Illustra poi la necessità emersa nel 2008, quando la Fondazione Guido D’Arezzo organizzò un convegno attorno alla figura di Paolo Aretino, di creare un’edizione completa delle opere di Aretino che fornisse risposte diverse alle diverse esigenze di musicologi e musicisti. Necessità alla quale studiosi come Francesco Luisi, Cecilia Luzzi, Luciano Tagliaferri e Tibaldi stesso diedero ascolto preparando delle edizioni critiche provvisorie di alcuni libri che mai però furono pubblicate. Questo nonostante Paolo Aretino venga riconosciuto anche dagli stranieri come un importante compositore della musica polifonica composta espressamente per la liturgia.

E allora Tibaldi torna a riflettere sui possibili metodi di lavoro su Paolo Aretino stimolando subito a non considerare la filologia musicale come una disciplina di second’ordine. «È ora di abbandonare tali idee, di svecchiare schemi precostituiti. Bisogna smetterla di considerare la filologia musicale una sorta di disciplina ausiliaria ad altre più alte come l’ermeneutica da un lato, la prassi esecutiva dall’altro. Bisogna superare insomma la dicotomia tra critica bassa e critica alta e ogni riferimento a Musikphilologie di Georg Feder è assolutamente voluto». Conclude dunque sottolineando quanto la realizzazione consapevole di un’edizione critica debba prevedere l’interazione di studiosi diversi che la approfondiscono con diverse finalità.
FRANCESCO SAGGIO (Università di Pavia-Cremona) – Un solo segno per tanti significati: molteplicità semantica del ‘tempus imperfectum’ nella polifonia cinquecentesca
Durata: 25 minuti – video allegato da 1:36:00 a 2:01:30
Definito il tempus imperfectum come un «semplice Semicerchio che posto in testa alla netta maggioranza del repertorio vocale del XVI secolo ne governa il valore delle figure e la scansione ritmica più rigida», Saggio evidenzia quanto questo argomento possa essere interessante sia per il filologo che per l’esecutore e quanto riesca dunque a toccare quelle «due amiche rivali» che appaiono essere la filologia e la prassi. Facendo appello alla semiologia Saggio sottolinea poi l’esistenza di un significato connotativo del segno, soggettivo e creato dalle associazioni evocate dal segno stesso, oltre al più celebre significato denotativo, che indica oggettivamente ciò che esso rappresenta. Propone poi diversi esempi di raffronto tra l’utilizzo del segno di mensura integrum e diminutum evidenziandone diverse aporie. Conclude rilevando quanto l’indagine connotativa offra una chiave irriunciabile per la comprensione ciò che non si può scrivere, che altro non è che la la chiave d’interpretazione della polifonia cinquecentesca.

INGRID PUSTIJANAC (Università di Pavia-Cremona) – Oralità ‘digitalizzata’ nelle edizioni musicali del repertorio contemporaneo
Durata: 26 minuti – video allegato da 2:04:25 a 2:30:28
Un cambiamento enorme è avvenuto nel secondo Novecento che ha registrato «il passaggio da un sistema di rappresentazione dell’idea musicale fondato sulla combinazione di quattro parametri del suono a modalità più complesse che prescindono soprattutto dalla dimensione rappresentativa della nota». Ciò ha portato a considerare nuove dimensioni del linguaggio musicale che richiedono di essere annotate in partitura perché poi possano essere eseguite e per le quali, nella composizione del suono, la notazione musicale risulta poco efficiente. Pustijanac porta dunque a esempio le soluzioni trovate da György Ligeti e Helmut Lachenmann: organici estesissimi da una parte e lunghissime leggende che descrivono il gesto musicale dall’altra.

Infine la relatrice mette in luce quanto l’odierna diffusione dei programmi di scrittura musicale stia nuovamente rivoluzionando il percorso di un brano dall’ideazione alla diffusione e quanto nella scelta di autoprodurre e autodistribuire la propria musica un compositore crei non poche insidie nella definizione di un testo e delle sue modalità di ricezione e trasmissione.
Alla prossima puntata,
Veronica Pederzolli