Più schumanniano di così non si poteva: Carnaval op.9 nei suoi ventidue ritratti carnascialeschi restituisce soprattutto una maschera, quella del suo compositore.

È l’inverno tra il 1834 e il 1835 e Schumann sta per salutare la relazione nata quell’estate con Ernestine von Fricken, figlia illegittima di un capitano di Asch. Un amore passeggero che nulla può di fronte alla passione sempre più manifesta verso la sedicenne Clara, ottima concertista e compositrice che nel giro di cinque anni avrebbe sposato. Prima di abbandonarsi a quell’amore che avrebbe poi condizionato la sua vita, orientato il suo comporre e alleviato la malattia, Schumann ripensa un momento a Ernestine e si accorge che quel suo paesino di origine, Asch, è formato da quattro lettere presenti anche nel suo cognome. Deve essere dunque stato immediato il collegamento al famoso crittogramma musicale che faceva del nome di Bach una sequenza di note musicali: Schumann conosceva benissimo Bach non solo per l’importanza che attribuiva alla cultura storico-musicale nella crescita di un musicista, ma perché riconosceva nella sue pagine l’essenza e il significato stesso della musica. Ecco dunque che Schumann decise di trasformare in un crittogramma anche il paesino di Ernestine e attorno alle quattro note di la – mi bemolle – do – si costruisce tutta l’impalcatura di Carnaval.
«Sollecitata la fantasia da codesta trovata, un brano succedeva all’altro senza che me ne avvedessi, e siccome ciò avveniva durante la stagione di Carnevale del 1835, una volta finita la composizione, aggiunsi i titoli e le diedi la denominazione generale di Carnevale».
Oltre all’amore estivo e alla stagione carnascialesca Carnaval è anche debitore alla tradizione delle danze per pianoforte, così prolifica negli anni Venti, e alla commedia dell’arte italiana.
Vi è infatti il ritratto di Pierrot, il cui andamento malinconico, quasi lunare, è continuamente interrotto dalla successione discendente e forte di tre suoni che suonano quasi il “si signore” del servo che in fin dei conti è Pierrot. Lo segue nella scena Arlecchino, del quale Schumann sembra enfatizzare i tratti da saltimbanco stravagante e scapestrato. Ci sono anche Pantalone e Colombina: il minuto di musica a loro dedicato rivela l’instancabile affaccendarsi della furbizia di Colombina e dell’indole sospettosa di Pantalone.
Non solo maschere da commedia dell’arte ma anche quelle che ritraggono lo stile di Chopin, che Schumann riconobbe sempre come geniale, e Paganini, di cui mette in luce anche la cantabilità melodica oltre che il virtuosismo. E il bello di ciascuna di queste maschere è scoprire quanto rivelano dello Schumann musicista e uomo e della sua voglia di lasciarsi leggere tra le righe. Sembra sussurrarcelo quando ai numeri 5 e 6 colloca le due anime con cui nella critica sdoppia la propria: Florestan l’umorista, personaggio beethoveniano che legge Hoffmann, ed Eusebius che vive ed esprime con sottigliezza i sentimenti, alla maniera di Jean Paul. Proprio i loro ritratti, quello di Jean Paul e di Beethoven, furono affissi al muro della sua prima camera da studente di Lipsia e poi diventarono due modi per guardarsi, per definirsi. Come già accennato Schumann ha sempre sottolineato l’importanza del conoscere la musica altrui, per riuscire a essere autocritici con se stessi e provare a capire quale possa essere la propria collocazione nel presente.
Collocazione che si carica di ideali nella chiusura di Carnaval, quando in Marche des «Davidsbündler» contre les Philistins alza il pugno verso quella convinzione che lo aveva spinto a fondare la Neue Zeitschrift für Musik, ovvero l’idea che all’innalzare il livello culturale e artistico di un paese sarebbe seguito un miglioramento delle condizioni sociali. Un pensiero su cui converrebbe riflettere anche oggi.
Vi consiglio di ascoltare questi trenta minuti di seguito, per godere di quel movimento estremo di Carnaval, così incredibilmente modulato da far venire qualche dubbio perfino a Schumann: «gli stati d’animo musicali mutano troppo rapidamente perché un intero pubblico, che non vuol essere sconcertato ogni minuto, sia in grado di seguirli». A me le montagne russe sono sempre piaciute, figuriamoci se poi si ha l’opportunità di farci un giro a carnevale e dal proprio divano.
Veronica Pederzolli