Se siete di quelli che “un po’ di curiosità c’è, ma che non richieda troppo sforzo”, questo appuntamento fa al caso vostro. Domani alle ore 18 in diretta dalla pagina Facebook di Moby Dick – Biblioteca Hub Culturale si chiacchiererà di Cercando Beethoven con l’autore Saverio Simonelli, giornalista e vicecaporedattore di tg2000, e Gioacchino De Chirico, giornalista romano ed esperto di comunicazione.
Ciò che stuzzica nel presentarvi questo appuntamento non è solo l’esordio alla narrazione di un giornalista come Simonelli, ma la prima opera narrativa costruita attorno alla figura di Ludwig van Beethoven. Il ritratto restituito di quel genio che stravolse la storia della musica è intimo e commovente e muove i primi passi dalla storia di Wilhelm, un giovane compositore che si mette sulle tracce di Beethoven nella speranza di scoprire il reale segreto della sua musica. Segreto che è subito svelato dalla quarta di copertina quasi a indicare quanto esso non sia il fulcro di quelle pagine, quasi a incitare di cercarlo altrove.
E lo si ritrova presto nelle descrizioni così affascinanti e fondate degli ambienti frequentati allora da Beethoven e più in generale del fermento della Vienna di inizio Ottocento: l’anima da filologo di Simonelli spiega le ali e cattura. Lo fa semplicemente, con un comodo fluire narrativo e con aneddoti sugli intellettuali dell’epoca, come quello in cui si riscopre Novalis ispettore minerario e Grillparzer quell’amico di ballatoio di Beethoven che sarebbe finito per diventare un grandissimo scrittore.
Un momento magico del libro? A mio parere questo:
Arrivammo ai bastioni nel primissimo pomeriggio. La casa dove viveva Beethoven, situata proprio in prossimità dell’antica cinta muraria, era di proprietà del barone Pasqualati, famoso per aver curato l’imperatrice Maria Teresa, ma soprattutto molto apprezzato per il carattere schietto, le sue maniere sbrigative, efficaci e umanissime. Beethoven praticamente entrava e usciva da quell’appartamento a seguito dei litigi che collezionava con i domestici. Così da un giorno all’altro piantava tutto e si cerca- va un’altra dimora. Ma lui, il barone, la lasciava sfitta e attendeva. Attendeva con pazienza che passasse il mo- mento, certo che Beethoven sarebbe tornato sui suoi passi e dopo un profluvio di scuse gli avrebbe chiesto di poter rientrare. E così puntualmente era accaduto, anche poche settimane prima di quel pomeriggio.
Il portale del palazzo immetteva in un lungo andito che dava su un cortile lastricato in modo irregolare. Al centro spiccava una fontana, di lato un lampione a gas di ferro. Entrammo attraverso un portone sulla destra e salimmo fino al quarto piano. Giunti in cima trovammo sulla porta un domestico che con uno straccio lustrava le due ampie finestre del pianerottolo. Ci annunciammo e rimanemmo in attesa lì davanti. «Il Maestro è al piano», ci disse, «e dovrete attendere qualche minuto. Ma potete accomodarvi nell’anticamera».
La musica che si sentiva era completamente diversa da quella della serata a casa della contessa Erdödy. Dal modo in cui alternava le frasi potevano essere degli spunti che stava meditando per una grande sonata o magari, chissà, per una sinfonia.
A un tratto si fermò, sentimmo la sua voce che si rivolgeva al domestico. Trascorse più o meno un minuto, poi l’uomo ripassò per l’anticamera con una lettera in mano ma ci fece segno che potevamo accomodarci.
Passammo per una stanza arredata in modo molto spartano con un tavolino lungo nel mezzo e uno tondo a piede centrale nell’angolo sulla sinistra con un centrino di merletto ingiallito. A destra c’era una commode di legno chiaro. Attraverso un corridoio stretto e corto arrivammo nella stanza del pianoforte.
Lui alzò appena la testa sentendoci entrare e senza neanche salutarci ci chiese se avevamo voglia di ascoltare un lied che aveva appena composto.
Un invito appena sussurrato. Pudico. Eravamo arrivati al momento della nascita. Bisognava fare piano. Annuimmo.
Così lui attaccò subito e si mise a cantare con una voce quasi innaturale, che cercava il più possibile di esser aggraziata, di appoggiarsi alla velata malinconia del testo e della musica, nonostante un luminoso la maggiore.
E qui Simonelli fa attaccare a Beethoven il lied di Mignon, Kennst du das Land. Poesia.
Veronica Pederzolli