Tre angolazioni per guardare a Santa Cecilia, la nostra patrona della musica, e festeggiarla nel suo giorno. L’augurio è quello che la musica possa vivere innanzitutto interiormente, dentro di noi, per poi essere trasmessa nel migliore dei modi che di volta in volta possiamo trovare.
LA STORIA
S. Cecilia nacque in una ricchissima famiglia e fu educata dai più rinomati maestri di Roma. Nonostante l’allora imperatore Alessandro Severo avesse proibito la persecuzione ai cristiani, S. Cecilia dovette farsi cristiana segretamente e fu costretta a sposarsi con Valeriano. Un brano della Passio, nel descrivere il suo matrimonio, recita: «Mentre suonavano gli strumenti musicali, la vergine Cecilia cantava nel suo cuore soltanto per il Signore, dicendo: Signore, il mio cuore e il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa». Per questo divenne patrona della musica. Fu condannata a morte per asfissia dal prefetto Almachio che, approfittando dell’assenza dell’imperatore dalla città, scatenò contro i cristiani una crudele persecuzione. Dopo un giorno e mezzo dall’esecuzione dell’ordine i soldati la trovarono ancora viva e Almachio ordinò a un littore di troncarle il capo. Nonostante i tre colpi, egli non riuscì a staccare completamente il capo: la Santa visse ancora per tre giorni e spirò dopo esser stata consolata da Papa Urbano.
ESTASI DI SANTA CECILIA

Il dipinto a olio su tavola fu commissionato a Raffaello nel 1513 dalla nobildonna Elena Duglioli dall’Olio per la cappella Duglioli in San Giovanni in Monte. Qui, al centro della sacra conversazione, c’è Santa Cecilia con lo sguardo rivolto verso un coro di angeli. La grande storica dell’arte Anna Maria Brizio definì Estasi di Santa Cecilia un dipinto rivoluzionario. «è la prima volta, nella Santa Cecilia, che l’atto della devozione si fa esso stesso tema centrale della pala. Scompare l’immagine della divinità; scompare anche, con essa, l’esteriorizzazione mimica accentuata dei sentimenti; tutto è trasposto in interiorizzazione: visione e sentimento». È nell’anima del santo dunque che Raffaello fa rivelare la divinità, che non appare agli occhi allo stesso modo in cui la musica non risuona in maniera materiale, ma solo nell’animo: gli strumenti sono a terra, in disuso. Conclude Brizio: «Nella Santa Cecilia era nata e per prima s’era espressa l’idea rivoluzionaria che trasferiva il teatro dell’azione dal mondo esterno all’anima dell’uomo».
HYMN TO SANTA CECILIA, OP.27
Da molto tempo Benjamin Britten desiderava scrivere un inno alla patrona musicale: la sua festività cadeva nello stesso giorno del suo compleanno e c’era la volontà di inserirsi nel solco della tradizione degli inni ceciliani musicati da anglosassoni. Finì il suo lavoro nel 1942 dopo aver riscritto a memoria tutta la composizione al ritorno dal nuovo mondo: la dogana gli aveva sequestrato tutti i manoscritti per il timore che vi fossero nascosti messaggi in codice. Forse non nel senso in cui intendevano loro, ma qualche messaggio in codice effettivamente il testo del poeta Wystan Hugh Auden lo conteneva e, qualunque sia stata l’interpretazione colta dal musicista, Britten lo trasformò in un capolavoro. A partire dal contrasto nella prima sezione tra l’aspetto sacro e intellettuale della musica, con un andamento così tranquillo, e quello erotico, legato ad Afrodite nuda, eccitata. Lo Scherzo centrale è un vero e proprio flusso di coscienza messo in musica in un fitto contrappunto fugato: qui sembra che Auden critichi la difficoltà di Britten nell’abbracciare apertamente la propria omosessualità e gli dica: «amami». L’inno si conclude con la richiesta alla Santa di apparire ai musicisti e continuare ad ispirarli. È Santa Cecilia stessa a rispondere attraverso la luminosità delle linee affidate al soprano solo. Ella dice a tutti i musicisti: «accettate i vostri affanni come se fossero una rosa».
Vi propongo di ascoltare queste pagine di Britten nell’esecuzione che Rias Kammerchor ha registrato lo scorso anno per Harmonia Mundi.