Perché viaggiare, insieme a leggere e ascoltare, è sempre la via più utile e più breve per arrivare a se stessi
Dirlo a fine estate fa quasi ridere, ma oggi vi consiglio un libro edito da Iperborea che in questo senso è tutto un’occasione. Il suo autore, l’olandese Jan Brokken, lo ha intitolato Anime Baltiche e io non ringrazierò mai abbastanza Francesca per avermelo regalato.
Veloci e intensissimi ritratti di vite di artisti baltici si giustappongono capitolo per capitolo e restituiscono un insieme vitale, composito, da conoscere.
Brokken la racconta a piedi, a partire dai palazzi Jugendstil di Riga, città lettone che fu tedesca nell’Ottocento ma che già a metà del Novecento contava due russi ogni tre abitanti. A partire dall’ascolto di Cantus dell’estone Arvo Pärt, Brokken pensa ai ricordi di giovinezza di Gidon Kremer, che a Riga crebbe con il dovere di diventare musicista. Era il senso di colpa a spronarlo, non solo nei confronti dell’odiato padre che lo aveva iniziato alla musica ma anche dei trentacinque membri della sua famiglia che avevano perso la vita nell’olocausto. Molti di loro erano musicisti. Quando poi a ventitré anni si ritrovò in finale al Čajkovskij di Mosca, uno dei più prestigiosi al mondo per un violinista, non seppe dirsi altro che: «Devo dimostrare che questo mestiere è diventato il mio mestiere”. E lo dimostrò eccome: vinse il concorso e poi diventò uno dei più grandi violinisti a cavallo tra il XX e XXI secolo.
La lettura dei racconti di giovinezza che Kremer raccolse nei Kindheitssplitter fecero sentire a Pēteris Vasks un lungo mi acuto suonato al violino, che anni dopo diventò la prima nota del suo primo concerto per violino. La strada della composizione per Vasks non fu semplice: suo padre era un pastore protestante e in quegli anni, attorno al 1968, i Soviet conducevano una lotta accanita contro la religione. Vasks dovette quindi suonare in un’orchestra a Vilnius finché il crollo dell’Unione Sovietica non gli permise di ricominciare a comporre. Sei anni dopo, nel 1997 a Salisburgo, ci fu la prima del suo concerto per violino che fu interpretato da Kremer stesso. Nell’ascoltarlo Brokken si impressiona di fronte alla distanza creata dal compositore tra il violino e orchestra, tra padre e figlio, e ripensando alle poche parole che Gidon gli rivolse a Bruxelles scrive: «Cammino in una città dove tre metri di neve non bastano a coprire la storia».
Brokken rimane poi a Vilnius sulle tracce dello scrittore Romain Gary e dei suoi pseudonimi e racconta dell’incontro con il professore di yiddish Dovid Katz, che intitolò il proprio libro The sound of silence perché gli antenati di Simon & Garfunkel erano di Vilnius.
Nella stessa città si imbatte nella storia di Loreta Asanavičiūtė e in quella che i lituani chiamano ancora la “domenica di sangue”. La notte tra il 12 e il 13 gennaio 1991 i carri armati sovietici attaccarono la Torre della televisione di Vilnius a pochi mesi dalla proclamazione d’indipendenza della Lituania da parte dell’eletto presidente Vytautas Landsbergis, famoso pianista e musicologo. In quella notte che vide rubare la vita a quindici persone un cingolato passò sopra la gamba di Loreta Asanavičiūtė. Aveva 24 anni e la frase pronunciata poco prima di morire, «Potrò ancora sposarmi? Potrò ballare alle mie nozze?», girò su tutte le televisioni della zona. Nessun telegiornale occidentale ne diede notizia, lì gli unici carri armati ad avanzare furono quelli nel deserto del Kuwait e dell’Iraq.
Il viaggio prosegue verso la Königsberg che non c’è più, raccontata dalla storia di Hannah Arendt, e Daugavpils, sul confine della Lettonia, dove nacque Mark Rothko.
Brokken arriva poi a Rakvere, paesino dell’Estonia che nel 1700 fu dato alle fiamme dopo che i cittadini avevano preso le armi contro l’annessione russa. Lì scopre una leggenda che guarda ancora Arvo Pärt bambino girare la piazza in bicicletta: era l’unico modo per non gelarsi nell’ascoltare la poca musica sinfonica che nel periodo natalizio era distribuita in radio. Nell’Estonia del 1947 era infatti vietato sintonizzarsi sui canali radio occidentali e la proibizione non fece altro che accrescere la passione del giovane Pärt per la radio. Dopo aver lavorato, nei suoi ultimi anni di studio, per la radio estone come produttore e tecnico del suono, entrò in contatto con Manfred Eicher, fondatore della ECM Records a Monaco. La ECM Recors fu la casa produttrice di Keith Jarret e del suo Köln Concert che vendette 2 milioni di copie. A seguire, il suo secondo successo fu Tabula Rasa di Pärt che apre con Fratres eseguito, pensate un po’, da Gidon Kremer (assieme a Keith Jarret). Intensissimo, da ascoltare, come da leggere è tutta la restante riflessione sul ruolo sociale di Pärt e della sua musica.
Brokken così chiude il cerchio di un viaggio che non sembra finire, che è necessario rileggere, ancora una volta. Perché, ve lo posso assicurare, Anime Baltiche apre gli occhi, e anche il cuore, su una storia che noi occidentali in gran parte ignoriamo.
Veronica Pederzolli
foto copertina di Jordan Sanchez