Ho incontrato Filippo Gambetta per caso e, ascoltare per credere, da quel giorno non ho più potuto farne a meno. Capita, quando si scoprono musicisti che trasudano musica in questo modo, che rendono così impossibile non sentirla. Gambetta stesso quando suona si contorce attorno al suo organetto, miscela proprie musiche originali e repertorio tradizionale, tesse collaborazioni con la stessa facilità con cui sforna un CD dopo l’altro. Le sue musiche sono state presentate dalle più importanti emittenti radiofoniche europee e lui continua a girare il mondo con il suo organetto, motore d’aggregazione.
Innanzitutto: come ci si imbatte in uno strumento così particolare?
Ho incontrato lo strumento attraverso l’ascolto del disco Véranda del duo Tesi Vaillant, un album incentrato su nuove composizioni e brani tradizionali riarrangiati. In quell’album mi colpì, oltre alla poetica musicale e agli arrangiamenti, anche il carattere distintivo dell’organetto rispetto alla fisarmonica. La mia fascinazione verso lo strumento nasce dunque non da espressioni musicali tradizionali, ma piuttosto da un contesto creativo e legato al revival.
L’organetto, strumento principe della festa e della socializzazione: come è arrivato su un palco da concerto?
C’è un musicista che per primo, su tutti, lavorò in questa direzione a partire dagli anni ottanta. A lui va il merito di aver spronato la fabbrica Castagnari di Recanati a produrre una linea di strumenti di particolare qualità. Suoi sono i primi dischi di organetto che uniscono diversi idiomi (su tutti, i linguaggi musicali delle tradizioni europee di Francia, Irlanda, Italia .. ) legati allo strumento con composizioni originali. Si tratta dell’organettista francese Marc Perrone. L’esperienza concertistica di molti organettisti europei ha un forte debito di riconoscenza verso questo musicista
Limiti, pregi e qualità di questo strumento?
La caratteristica principale dell’organetto risiede nella sua bisonorità e nel fraseggio in qualche modo determinato dall’apri e chiudi. Questo caratterizza la maggior parte della musica tradizionale per questo strumento e pure quella di composizione. Esistono innumerevoli distinzioni tra organetti (solo che in Europa modelli diversissimi tra Irlanda, Sardegna, Paesi Baschi ..) e però ciò che accomuna tutti gli strumenti è il loro cardine sulla scala diatonica articolata in apri / chiudi. Se questo può rappresentare un limite da una parte, dall’altra crea dei fraseggi sul legato che sarebbero impossibili da ricreare sulla fisarmonica, ad esempio. E’ primariamente in questo aspetto che risiede la specificità dell’organetto e che ne motiva, a mio avviso, la sua sopravvivenza. Una sopravvivenza che avrebbe potuto essere altrimenti messa a durissima prova dall’avvento della fisarmonica a inizi Novecento.
La sua è una ricerca che fonda le radici nel repertorio ligure e che poi nel guardare altrove punta anche sulla composizione originale…
Direi piuttosto il contrario, nel senso che è l’espressione di composizione ad avermi interessato da subito nell’approccio allo strumento. La scoperta della musica dell’Appennino ligure ha avuto in me soprattutto un forte potere evocativo, principalmente per il suo carattere modale ed il suo respiro antico. Ho pensato che potesse essere una bella sfida “tradurre” sul mio strumento brani suonati abitualmente dal piffero (oboe popolare) e ciò è stato un valore aggiunto nel mio percorso.
E poi un’infinità di collaborazioni. È uno che ama il cambiamento?
L’organetto per me si esprime al meglio nel dialogo sonoro e nella multidisciplinarietà musicale… accompagnare un cantautore, animare un ballo, tenere un concerto d’ascolto, farsi anima di una festa tradizionale, o ancora creare un ambiente sonoro per la danza contemporanea o il teatro.. finora muovermi in questi ambiti mi ha dato e mi ha insegnato molto.
Come definirebbe la musica tradizionale?
La musica tradizionale è un falò che brucia e intorno al quale si rafforza un senso di comunità attraverso l’esercizio della memoria collettiva.
Perché in Italia – nonostante i riconoscimenti che lei stesso ha ricevuto da grandi istituzioni musicali quali RAI o MiTo- questo repertorio rimane così di nicchia?
Il più grosso limite è rappresentato dalla “popolarità” (in senso di mercato) e dal mainstream anche nell’ambito delle musiche tradizionali. Una espressione del mainstream “local” è a esempio rappresentato da scelte politiche che fanno sì che la maggior parte delle piazze del sud Italia sia animato solo da musica del sud Italia (pizzica, tarantella). Credo che se nel nostro paese i contesti in cui incontrassimo organetti, pifferi e zampogne sui palchi fossero meno legati all’identità e più ispirati da una universalità e a un pluralismo culturale, i benefici nell’arco di alcuni decenni inizieremmo a percepirli.
Ascoltandola ciò che colpisce è la capacità di cogliere l’inaspettato in questa musica, la raffinatezza così illuminante dell’interpretazione accanto al grande rispetto verso questo repertorio. Quasi come ciò che Glenn Gould fece con Bach…
Fatico a sentirmi minimamente degno di cotanto paragone e al contempo mi lusinga che questo apprezzamento provenga da una brava musicista come lei. Sicuramente la semiotica della musica tradizionale, dove la differenza la fa un piccolo accento, un abbellimento strozzato (a volte solo lasciato all’immaginazione di chi ascolta), è un campo che continua a interessarmi e a essere mio oggetto di indagine, utilissimo colore della mia tavolozza.
Una caratteristica che vorrebbe rubare a un altro musicista?
Non sono un suonatore di tradizione (a Genova non c’è una tradizione di organetto) ma un interprete dello strumento. Mi affascina molto l’idea di essere un suonatore che incarna una espressione musicale tradizionale e al contempo è motore aggregativo e propulsivo sonoro di una comunità. Come Totore Chessa a Irgoli (NU).
Ha un progetto in cantiere?
In questo momento lavoro su un dialogo sonoro a distanza tra Italia e Finlandia insieme a Emilia Lajunen, violinista finlandese. Vogliamo creare un ponte sonoro immaginario tra le nostre tradizioni.
Birra o vino?
Un buon grignolino sta bene anche sul pesce!
Davvero in quarantena ha imparato a suonare l’organetto su corda elastica?
Considerando che il video che hai visto era il mio secondo tentativo di organetto su corda elastica, vale la pena perseverare con altre polke funamboliche.
Come prevede sarà il ritorno alla musica dal vivo?
Dopo mesi di lockdown e di bulimia da connessione internet c’è bisogno che la musica torni a rappresentare primariamente una occasione di incontro e un veicolo per rinsaldare un senso di comunità dalle più remote frazioni ai grandi comuni. Mi interessa quindi che la musica possa nuovamente rappresentare una aggregazione sociale e vivere dal basso, intorno al fuoco, in una strada. Quando ci sarà questo, quando la musica, liberamente e senza costrizioni, tornerà a rivestire una funzione sociale e aggregativa, potremo preoccuparci di tornare alla “normalità” dei concerti organizzati.
Veronica Pederzolli