Ezio Bosso è mancato il 15 maggio 2020. Tutti sapevano della sua misteriosa malattia, ma nessuno si sarebbe aspettato di non vederlo tornare sui palcoscenici dopo il lungo silenzio indotto dal coronavirus. Diceva che era il fare musica a tenerlo in vita e forse era davvero così. Avrebbe dovuto ascoltare il suono fragoroso dell’incredulità, del profondo dispiacere di un’intera nazione che saluta lui, quel musicista che, comparso improvvisamente sulle scene nel 2015, ha rivoluzionato la storia della divulgazione musicale in TV e si è così speso, anche intellettualmente, per la causa musicale.
Fragole e clavicembali lo saluta così, attraverso la voce di due professioniste che con lui hanno fatto musica.
«Non per la sua fama, non per la sua visibilità, non per il suo nome. Ci tengo a dirlo, perché in questo caso dietro ad un grande successo mediatico c’era anche una grande persona.
Lo conobbi per la prima volta nel gennaio 2019, quando mi presentai come cantante per un’audizione per la parte del Soprano II dello Stabat Mater di Rossini. Non mi conosceva, non conosceva nessuno: eppure aveva aperto le porte della sua casa a tutti, anche solo per fare le audizioni. Non mi conosceva, non conosceva nessuno, e mi scelse. “Ognuno riconosce i suoi”, diceva Montale. E così mi aveva riconosciuta, basandosi solo sulle sue orecchie e sul suo cuore, al di fuori di qualsiasi altra logica che di solito può intervenire in questi casi.
Mesi dopo, il lavoro intenso prima con noi solisti, poi con orchestra e coro a Todi, la splendida cittadina medievale nel cuore dell’Umbria da cui proviene un testo antico e profondo, quello dello Stabat Mater. Quante cose abbiamo detto su quel testo, quanto abbiamo scavato, fra musica e parole. Era un trascinatore. Prima di spiegare come fare musica, ti portava a sentirla, insieme a lui e insieme a tutti. Così la sua umanità, la sua interiorizzazione di ogni nota, il suo percepire ogni accordo di suoni come un dono da vivere a pieno si traducevano in una vitalità profonda che ricercava sempre l’emozione nell’espressione musicale, senza però mai tradire un attento scavo nella partitura.
Gli sarò sempre grata per aver scommesso su di me, in un mondo dove spesso contano più le referenze; per aver portato più volte la grande Musica sul piccolo schermo, in prima serata; per l’umanità, per l’energia che nessuno sapeva come riuscisse a tirare fuori, nonostante tutto; per aver incrociato la mia vita da vicino e aver fatto Musica insieme.
-Ti sussurro questo grazie con la forza delle cose dette sottovoce, e delicatamente. Con quella delicatezza che contraddistingueva il tuo sentire, il tuo esistere; quella stessa con cui sarai partito da noi in una silenziosa notte di maggio-».
Isabel Lombana Mariño, soprano lirico
«La prima volta che ho conosciuto Ezio è stato a Salerno, fine agosto, con l’orchestra del Teatro Verdi. Suonavamo Boléro di Ravel e Sinfonia dal Nuovo Mondo di Dvořák. Non avevo mai lavorato con lui prima e facevo parte, ahimè, di quel piccolo gruppo di persone scettiche, convinte si fosse costruito un personaggio mediatico dopo Sanremo.
Inutile dire che ho impiegato meno di 30 secondi, dopo averlo conosciuto, a ricredermi.
Ezio era una persona che, senza volerlo e attraverso la sua incredibile passione, ti ricordava ogni secondo quanto il fare musica e l’essere musicista fosse la scelta giusta nella tua vita. E quanto sarebbe bello e indispensabile nella vita di tutti.
Lui amava sempre raccontare aneddoti, così un giorno gliene raccontai uno io.
A causa di una sfortunata vicenda di salute, anni fa passai un bel periodo in ospedale. Lì, in reparto, conobbi Arianna, una ragazzina appassionata di Bosso e della sua musica e, prima che se ne andasse a causa di una grave malattia, le promisi che un giorno avrei suonato insieme a lui.
Di fronte a un caffè, in pausa dalle prove d’orchestra, dissi allora a Ezio che ero felice di aver finalmente realizzato il desiderio della piccola Arianna e di poterglielo raccontare di persona. A lui si riempirono gli occhi di lacrime, mi disse che nei miei vedeva amore e speranza e semplicemente mi ringraziò. Ma ero soltanto io a doverlo ringraziare».
Silvia Stella, violinista