Mi sono accorta di aver eletto uno dei miei tre pile a “pile da sera”. Io, che ho sempre addosso gonne e giacche un po’ maschili, per la cenetta di quarantena scelgo il pile arancione a righe rosse. La cosa buffa è che quest’anno per la seconda volta sono arrivata dal mio compagno con un piccolo trolley e poi ci sono rimasta per mesi: non ho usato quasi nulla di quel che avevo in valigia, ma solo quei pile che lascio sempre qui per andare in montagna. Come dire, ora il superfluo lo è davvero in tutta la sua evidenza e rimane nei cassetti assieme all’eye-liner.
Penso che, con tutta l’urgenza di tornare alla normalità, mi mancheranno questo silenzio, la quiete delle montagne e questo spazio gigantesco per il sé.
Lo scrivo con una matita cancellabile, come Goethe nel 1780 fece sul muro di un capanno di caccia nei pressi di Weimar. Scrisse dei versi e li lasciò lì, al silenzio della montagna, per ritornarvi poi, accompagnato dagli amici, cinquantun anni dopo, l’anno prima di morire. Pianse, quando si ritrovò di fronte a quella parete, e poi lesse a voce alta gli ultimi due versi: Warte nur, balde / Ruhest du auch.
Wanderer Nachtlied Über allen Gipfeln Ist Ruh, In allen Wipfeln Spürest du Kaum einen Hauch; Die Vöglein schweigen im Walde. Warte nur, balde Ruhest du auch. | Canto notturno del viandante Sopra tutte le alture, pace. Per ogni vetta avverti un soffio, – e non più. Nella foresta ogni uccellino tace. Fra poco – aspetta! – riposerai anche tu. |
Traduzione di Vincenzo Errante |
Il tema del contrasto – così romantico – tra la quiete della natura e l’inquietudine dell’uomo qui si risolve in un’attesa serena che promette: «fra poco riposerai anche tu».
Nonostante Goethe non abbia mai voluto saperne di Franz Schubert a causa dell’inclinazione di quest’ultimo a non attenersi alla concezione goethiana del testo, l’interpretazione di Schubert è quella che preferisco per questo lied. A partire dalle successioni accordali iniziali del pianoforte che, lentissime e con il minimo indispensabile nel movimento interno, restituiscono la profondità e serenità della pace a cui Goethe allude. Un movimento che rimane per i primi tre versi e che comincia a muoversi leggermente con un sincopato su “Spürest”. Schubert fa così iniziare alla fine della prima quartina goethiana un nuovo momento dal punto di vista musicale, pur all’interno dell’unico fluire che caratterizza tutto il brano.
“Warte” (aspetta!) è sottolineato e amplificato dall’accompagnamento che ritorna omofonico, questa volta però su un ritmo puntato che, assieme all’ascesa della melodia, ne incita l’andamento. Un’esitanza, un’impazienza dunque, che però risulta sempre scevra da ogni turbamento: c’è la consapevolezza che quel momento arriverà, presto. Così il compositore nel finale richiama le due battute iniziali, mettendo in relazione la pace delle alture con quella della morte. Quasi che con essa l’uomo diverrà finalmente un tutt’uno con la natura.
Ma la cosa che più colpisce all’ascolto è quella di un materiale musicale ridotto veramente all’osso, la cui essenzialità costituisce il mezzo della sua incredibile capacità comunicativa. E assieme alla rinuncia di ogni superfluo c’è anche la pausa dell’attesa, la sospensione dal quotidiano, dal continuo peregrinare.
Una parentesi che conviene ascoltare nell’interpretazione – altrettanto magnifica – di Dietrich Fischer-Dieskau accompagnato al pianoforte da Gerald Moore. Preparate il fazzoletto.
Veronica Pederzolli
*foto di Manuela Bus