Nel 1980 la cornetta del produttore discografico George Butler squillò. Era Miles Davis che, dopo cinque anni di silenzio, era pronto per tornare. Aveva ritrovato quelle cose che nel 1975 non riusciva più a dire con la tromba in cinque anni dedicati a follie montate dalla droga e dal sesso. Finì addirittura in manicomio dopo aver schiaffeggiato una ragazza perché credeva fosse seduta sulla sua Ferrari. Erano in ascensore. Sono anche gli anni della nostalgia per i vecchi amici, Dizzy Gillespie e Bird, Charlie Parker. Quando nell’autunno del ’44, a diciott’anni, Miles arrivò a New York spese settimane a cercarli in tutti i club e, una volta trovati, rimasero per anni i punti di riferimento della sua vita. Ecco che proprio in riferimento a Bird Davis, nella sua autobiografia, fa il primo cenno alla sua passione per la pittura.
Ci sono pittori e poi ci sono i pittori in mezzo ai grandi pittori. In questo secolo, secondo me, ci sono Picasso e Dalí. Bird per me è come Dalí, il mio pittore preferito. Mi è sempre piaciuto per la fantasia con cui dipinge la morte. Vedete, questo genere di immagini mi prendeva, e mi piaceva il surrealismo dei suoi dipinti. C’era sempre una trovata geniale nel surrealismo di Dalí o almeno così sembrava a me, capite: come vedere la testa di uomo in una mammella. I dipinti di Dalí hanno anche un’eleganza formale. Picasso, a parte il suo periodo cubista, aveva quell’influenza africana nei suoi dipinti e io sapevo già tutto in proposito. Per questo Dalí è sempre stato più interessante per me, mi ha insegnato un modo diverso di guardare le cose. Ecco, Bird era così per la musica.
Miles Davis in Miles. L’autobiografia
Come spesso accadde nella vita di Miles Davis fu una donna a riportarlo in carreggiata: nel 1978 l’attrice Cicely Tison, che per un periodo aveva già frequentato il trombettista, cominciò a presentarsi sempre più spesso nel suo alloggio infestato dagli scarafaggi. Lo aiutò a smettere con le donne e la cocaina, gli fece mangiare cibi sani, verdura e succhi di frutta. «All’improvviso iniziai a vederci di nuovo chiaro e fu allora che ricominciai a pensare sul serio alla musica», scrisse Miles. E proprio in riferimento alle donne si trova nella sua autobiografia il secondo riferimento alla pittura: «Mi piacciono molto le donne africane dell’Etiopia e del Sudan. Hanno gli zigomi alti e il naso diritto, e queste sono le facce che disegno di più nei bozzetti e nei miei quadri».
E così nel 1980 Il principe delle tenebre – come era chiamato a causa della sua scontrosità – ritornò sul palco. Nel 1982 fece uscire l’album We Want Miles, che vinse il Grammy e valse a Davis la nomina come miglior jazzista dell’anno su Jazz Forum. L’anno successivo usciva con Star People, che oltre a raggiungere la quarta posizione nella classifica Jazz Albums statunitense dichiarava al mondo che la passione latente per la pittura era finalmente esplosa. Il groove emerge già dal disegno in copertina che, firmato dallo stesso Miles, riconduce al ritmo africano lo scheletro della sua musica.
La musica per me è sempre stata una sorta di maledizione perché ho sempre sentito una spinta irrefrenabile a suonarla. È sempre stata la cosa più importante della mia vita e lo è ancora. Viene prima di tutto. Ma ho fatto pace con questi miei demoni musicali, il ché mi dà la possibilità di vivere una vita un po’ più rilassata. Credo che dipingere mi abbia aiutato molto. I demoni sono ancora lì, ma adesso so che ci sono e so quando vogliono essere sfamati. Così penso di avere le cose un po’ più sotto controllo.
Miles Davis in Miles. L’autobiografia

Jo Gelbard, l’ultima compagna di Davis e sua insegnante di pittura, raccontò che per Miles la pittura fu terapeutica, ma forse basta osservare i suoi quadri per capire che c’era anche dell’altro. Il genio della musica autore di capolavori come Seven Steps to Heaven, interprete incisivo come pochi in classici quali Round Midnight e incredibile talent scout che sotto la sua ala crebbe personalità come quella di John Coltrane, aveva bisogno anche della pittura. Come se l’esigenza espressiva – prevalentemente musicale, ovviamente – necessitasse, dopo quarant’anni di carriera, di qualche altro canale di sfogo, di nuove ricerche. E infatti i tratti dei suoi dipinti sono forti, i colori vivi e coraggiosi. Si intravede l’amore per Dalí, Kandinsky, Picasso e Basquiat e si capisce quanto l’arte, nelle mani di una personalità così geniale dal punto di vista creativo, possa fondersi e confondersi nei sensi. Qui la pittura è musica.
La selezione dei quadri di Davis curata da Il Post in riferimento a Miles Davis, The Collected Artwork https://www.ilpost.it/2014/10/16/miles-davis-quadri/miles-davis-2-2/
Credo che sia proprio quello in cui mi trovo adesso il mio miglior periodo creativo di sempre, perché sto dipingendo, scrivendo musica e suonando al meglio.
Miles Davis in Miles. L’autobiografia
Veronica Pederzolli
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