Marco Pierobon con la musica ne combina di tutti i colori. Altro che dormire sugli allori, Marco non si riposa nemmeno. Musicista competente, appassionato e istrionico è stato per anni prima tromba delle orchestre del Maggio Musicale Fiorentino, dell’Accademia di S. Cecilia e ha collaborato nello stesso ruolo con la Chicago Symphony Orchestra e l’Orchestra Filarmonica della Scala. Ha suonato come solista con le più grandi orchestre al mondo, ha fondato un quintetto – il Gomalan Brass – che con i suoi spettacoli da vent’anni emoziona nazioni diversissime, e si è fatto riconoscere come un grandissimo insegnante, oltre che arrangiatore. Da qualche anno si è dato alla direzione e anche lì ha saputo distinguersi come “estroso”, “sfavillante”, “trionfale”. Basta ascoltarlo una volta dal vivo per capire che Pierobon è una di quelle personalità che non si risparmiano, danno tutto ciò che hanno.
Buongiorno Marco, come sta?
Tutto bene, grazie. Sto in campagna vicino a Parma e ho qualche possibilità di mettere il naso fuori da casa.
Mi pare che in quarantena se la stia spassando, tra i live giornalieri di CORONA warm-up e qualche sketch da Piero-man.
Ahaha. Si infatti, cerco di nutrire entrambe le mie nature, quella seria e quella stupida, che poi sono il riassunto anche della mia carriera. Mi tengo sempre in allenamento!
Nel suo ultimo CORONA warm-up per spiegare il vibrato sulla tromba rimanda a quello di Rostropovič al violoncello. È un’immagine bellissima, e forte!
Parto dal presupposto che per imparare a suonare avere dei modelli di riferimento sia fondamentale, ma questo non significa limitare i propri modelli al proprio strumento. Io mi riferisco spesso alle pietre miliari dell’esecuzione per guardare alla loro impronta e alla loro espressività musicale, trascendendo poi la tecnica dello strumento in sé. Immagino infatti che Rostropovič non sapesse suonare la tromba, me lo auguro, altrimenti saremmo tutti messi male.
Poi dal punto di vista tecnico del vibrato è comodo rifarsi a un violoncellista, rende tutto visivamente molto chiaro: io stesso penso spesso a questa immagine nella ricerca di un determinato tipo di vibrato.
Almeno un suo modello alla tromba potrebbe però svelarcelo.
Sono tanti e cambiano, da ognuno cerco di prendere quello che mi è utile in quel momento. Se penso al classico penso a Maurice André, al suo uso delle trombe piccole nel repertorio barocco, se penso alla versatilità penso ad Allen Vizzutti, trombettista, arrangiatore, produttore che ne fa di tutti i colori, tecnicamente spaventoso. Associo ogni personalità a un pezzetto di quel puzzle che nella mia testa compone il trombettista ideale.
La sua carriera è infatti incredibilmente multiforme. Come ci riesce?
Mah, è questione di curiosità, di necessità di non rimanere fermo nella mia attività. Molti ci riescono benissimo e li ammiro, io invece ho sempre voglia di esplorare strade diverse, anche al di là dello strumento come ultimamente sto facendo con la direzione d’orchestra e con l’arrangiamento. Faccio quello che mi piace, ho questa grande fortuna e la sfrutto.
Se questa sera potesse tornare su un palco vero, cosa vorrebbe eseguire?
Mi è molto piaciuto il programma che per Natale ho diretto con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento che, oltre a i classici natalizi, nella prima parte prevedeva un arrangiamento dell’arrangiamento di Duke Ellington de Lo schiaccianoci di Čajkovskij: lui lo scrisse per big band e io l’ho riscritto al contrario, per orchestra, mantenendo questa chiave jazzistica. Ora dovrebbe diventare il regalo agli abbonati per il prossimo Natale.
Lei è stato prima tromba sotto la direzione di grandissimi come Zubin Metha, Antonio Pappano e Daniel Baremboim. C’è qualcuno che le ha lasciato un’impronta particolare?
A ognuno associo un pezzetto di musicalità che a me interessa molto. Uno dei primi che mi ha cambiato la vita è Carlo Maria Giulini, con cui ho avuto a che fare ai tempi dell’Orchestra Giovanile Italiana. Di lui mi è rimasto il fatto che pur non esprimendo la tecnica della direzione d’orchestra la faceva funzionare comunque. È una faccenda di carisma, di coinvolgimento, di lavoro psicologico, di personalità, più che di grande gesto: questo dimostra che la musica non è soltanto esteriorità, anzi.
Posso confidarle una cosa? Ho sempre ritenuto geniale la scelta del nome di Gomalan Brass… Come vi è venuto?
Dunque, la risposta ufficiosa è: lambrusco. Eravamo a Parma e dopo una bottiglia vagliavamo i nomi. Comunque mi è sempre piaciuto avere livelli diversi di lettura: suonare bene, a grande livello professionale, sotto un nome stupido. Quando posso mischiare i generi, far suonare jazz a un’orchestra come la Haydn, lo faccio. Mi ha sempre interessato più questo che rimanere nei canoni già tracciati.
Da grande comunicatore quale è: che cos’è per lei l’espressività in musica?
Grazie per il complimento perché penso proprio che la musica sia comunicazione. Parto da questa consapevolezza anche nel lavoro con i miei studenti, la musica non è solo tecnica e deve essere al servizio della comunicabilità che, come la tecnica, si studia e non arriva da un giorno all’altro. Se poi l’impianto del mio spettacolo va nella direzione, con particolari presentazioni o con travestimenti come è successo con Aida, di un maggiore contatto con il pubblico, allora tanto meglio, ma non sempre può essere fatto. Se uno si mettesse a scherzare su un Quartetto di Beethoven sarebbe una bestemmia.
In questa quarantena c’è chi, intimorito, si chiede se le sale da concerto funzioneranno ancora una volta tornati alla normalità. Lei che cosa risponderebbe?
Rispondo che devono funzionare. C’è chi dice che con la cultura non si mangia, ma mi è molto piaciuta una frase che gira in questo momento che dice “se pensi che il lavoro dell’artista sia inutile prova a passare questa quarantena senza film, senza musica, senza poesia”, ci provino a stare soltanto con il telegiornale. E poi dei risvolti pratici ci sono: per esempio collegata i miei warm-up c’è una raccolta fondi che fino a oggi ha destinato più di 1500 euro a favore dello Spallanzani di Roma. Sicuramente dopo ci dovrà essere uno sforzo, anche economico, che, oltre a difendere le categorie esposte come quelle di medici e infermieri che stanno facendo un lavoro eroico, si ricordi della necessità di continuare a coltivare la cultura. Il gran rischio è che, visto che ora sui social lo stiamo facendo tutti gratuitamente, poi qualcuno dica: perché non continuate a farlo gratis? Le bollette del gas e della luce però arrivano anche a noi musicisti.
Una curiosità: i suoi cani Otello e Violetta sono un po’ verdiani nell’animo?
Devo aggiornare il curriculum, non c’è più Otello ma è arrivato Alfredo, abbiamo ricomposto la coppia. Dal primo nostro cane, che si chiamava Gilda, abbiamo sempre avuto nomi verdiani. Un omaggio.
Un saluto serio
Auguro a tutti quanti di portare nella propria vita l’arte, stiamo perdendo un po’ questo contatto a favore di un ragionamento economico. Daniel Barenboim mi raccontò che, dopo aver fondato la West Eastern Divan Orchestra per unire giovani musicisti palestinesi e israeliani, un bisognoso di cure che lo aveva ascoltato lo ringraziò non tanto per aver portato anche cibo e medicine, quelle si danno anche agli animali, ma per aver portato l’arte, ciò che l’uomo ha bisogno per distinguersi dall’animale.
Un saluto al telepass
Ahah. Oddio ormai sono diventato azionista di maggioranza delle autostrade…però ho smesso di usare la benzina e vado a elettricità: l’A22 mi mette a disposizione colonnine di elettricità gratuita. Il telepass, lo ammetto, mi manca: ho voglia di percorrere qualche chilometro per tornare in Conservatorio a Bolzano con i miei studenti, avere con loro un rapporto faccia a faccia e decibel a decibel nella stessa stanza. Ora ci arrangiamo, ma non è la stessa cosa.
Veronica Pederzolli