Conobbi Luca Targetti il 14 giugno 2016. Era una giornata calda e arrivai a Milano in treno con il cuore che batteva forte e una storia dei protagonisti del Belcanto nello zaino. Quando il treno fischiò l’arrivo, il tacchettio delle mie francesine si gettò ansioso fuori dal vagone e in un ritmo sempre crescente prese la metropolitana, fece un sorriso al Duomo e si tuffò in Corso Vittorio Emanuele II: non vedevo l’ora di arrivare.

Seduta su una panchina di marmo in attesa che scoccasse l’ora dell’appuntamento mi ero appena girata una sigaretta quando un motorino salì spensierato sul marciapiede e parcheggiò. Era Luca Targetti. Non fece neanche in tempo a togliersi il casco che subito mi sorrise e chiese: “Veronica?”. Ci stringemmo forte la mano e poi non ne volle sapere: per prima cosa doveva rimborsarmi il viaggio. Ero già così colpita da questa attenzione che non feci tanto caso alla divisa così curata del portiere che entrando ci chiamò l’ascensore verso l’appartamento di via Mascagni. Con Luca finora avevo scambiato una sola mail eppure già nel tempo di quella scalata verso l’ultimo piano del palazzo mi fece sentire a mio agio. Era gentile, solare e accogliente.
Finalmente arrivai di fronte a Nicoletta Braibanti su una terrazza così grande e colma di piante da sembrare un giardino. Mi salutò dolcemente con i suoi occhi color ghiaccio, era tutta vestita di bianco, e, con un’eleganza d’altri tempi, mi chiese se volessi un tè. Era giugno, faceva caldissimo e mi veniva offerto un tè caldo, così titubai nel rispondere. Una titubanza che mi regalò una delle immagini più potenti – e ancora così vivida – di questa storia. Luca scoppiò a ridere: “Veronica, l’ha scritto nel curriculum!” e poi guardò Nicoletta, sorridemmo tutti quanti. In quel momento avevo compreso la forza dell’amicizia che li legava, erano complici, si leggevano i pensieri, erano come fratelli.
Come promesso arrivò tra quel verde milanese anche Carla Moreni, una tra i maggiori critici italiani che avevo avuto la fortuna di avere come professoressa in Conservatorio e che è per me è sempre stata un faro a cui guardare, ispirarmi. Fu lei a girarmi questo incarico. Luca e Carla si conoscevano bene, si erano incontrati innumerevoli volte in teatro. Si salutarono affettuosamente e si scambiarono qualche parere su una produzione che ora non ricordo. Poi Carla mi presentò professionalmente a Luca e Nicoletta in maniera così bella – nelle parole e nella sostanza – che avrei voluto scomparire: Luca era un agente lirico di grandissimo successo che per tredici anni era stato Responsabile delle compagnie di canto del Teatro alla Scala e poi Responsabile dei rapporti internazionali dell’Accademia. Nicoletta era una donna di ottantasette anni, coltissima, che aveva investito il suo essere di buona famiglia sulla sua grande passione: la lirica. Era una vera esperta in materia e quel giorno iniziò la mia avventura: incontrai qualche volta Nicoletta per mettere nero su bianco quella vita incredibile, dedicata con così tanta semplicità e dedizione alla musica. Nel secondo incontro con noi ci fu anche Luca che, divertito, continuava a chiedere a Nicoletta: “dai, racconta quella storia” e poi ancora “ti ricordi quando…”. Quel giorno ripercorsero ridendo qualche bel quadro inedito della storia di Nicoletta, che mai mancava di intersecarsi con la storia della lirica. Luca era un amico di quel tipo che tutti vorrebbero avere, generoso come poche persone, allegro sempre: riusciva a sdrammatizzare anche le situazioni più difficili. Quel giorno mi diede un casco e mi accompagnò in stazione in motorino; non smettemmo un secondo di chiacchierare urlando da un casco all’altro: era tutto così leggero e interessante. Era Luca.
La salute di Nicoletta peggiorò con una velocità che nessuno aveva previsto e mancò il 17 novembre dello stesso anno, lasciandomi 24 pagine e un vuoto nel cuore. Luca ancora una volta si dimostrò il galantuomo che è sempre stato: si prese cura di queste memorie nel modo in cui probabilmente Nicoletta avrebbe voluto e non mancò mai di riconoscere il mio lavoro, anche a sue spese. Nel corso di questi anni si fece sentire più volte per sapere se stavo bene e cosa stessi facendo con la scrittura. Quando lo faceva finivo sempre la conversazione pensando: che Uomo! Con tutti i fior fiore di giornalisti che frequentava continuava a ricordarsi di me. L’ho sentito l’ultima volta, sempre frizzante, il 27 febbraio e poi il 12 marzo è scomparso a causa di questo maledetto coronavirus. Se ne è andato in un batter d’occhio con la velocità di chi, umile come Nicoletta, non ama stare sotto i riflettori. Ho subito chiamato Carla, che ancora non sapeva: la sua voce allegra – alla Littizzetto – si è presto rabbuiata. La sua stima e il suo affetto per Luca sono emersi in quelle poche parole che poi è riuscita a dirmi e ci siamo abbracciate virtualmente nella tristezza di quel momento.
Ora immagino il suo motorino parcheggiato e Luca seduto su un divanetto ad aggiornare Nicoletta di ciò che nel frattempo è successo nei teatri dal 2016. Li vedo lì a scherzare sul passato con l’eleganza che li ha sempre contraddistinti. E io qui sorrido felice, per averli conosciuti. Ciao e grazie, Luca!
Veronica Pederzolli