Giorgio Armani definiva lo stile come il “coraggio delle proprie scelte, e anche il coraggio di dire di no”. Chissà quanto stile allora avrà attribuito ad Arthur Arbesser che, trentenne, nel 2013 decise di mollare il suo colosso – esatto, si: quello di Giorgio Armani – per mettersi in proprio. Una scelta azzardata, coraggiosa che si annusa tra le fila del suo stile, indipendente prima di tutto.
E vi chiederete: cosa c’entra un giovane stilista con un blog di musica? La colpa è tutta del mio parrucchiere che, la settimana scorsa, per allietare i 20 minuti di posa della maschera per capelli arrivò con un mattone di riviste. Scartate subito le riviste gossip del caso decido di sfogliare una rivista di moda: mi piacciono i vestiti, adoro l’eleganza e la creatività, anche in questo campo. Sapevo di non avere molto tempo e quindi corro a leggere l’indice per scegliere un articolo e finisco su una pagina dove di scritto non c’è praticamente nulla, solo una piccola didascalia su un magnifico disegno intitolata “La moda all’opera”.
Ecco, scopro che i costumi del Der Rosenkavalier andato in scena al Berlin State Opera il 9 febbraio 2020 (questa la data della prima prima) sono stati disegnati proprio da Arthur Arbesser. Una scelta intelligente quella fatta dal creativo regista André Heller che, alla sua prima scenografia lirica su larga scala, amplifica quel gioco creato con il tempo dall’opera stessa. Hugo von Hofmannsthal – il librettista – la ambientò nella Vienna settecentesca di Maria Teresa, Strauss scelse di lasciare solo i contorni di quel Settecento per poi riempirlo di riferimenti al presente, immedesimazioni, e rimandi all’opera buffa italiana. Ed ecco che nella produzione della Berlin State Opera, Heller la ambienta nella Vienna del primo Novecento in stile Grande Gatsby e sceglie come costumista uno stilista giovane, nato a Vienna ma residente in Italia da molti anni, riconosciuto come una delle voci innovatrici della moda internazionale e al contempo grande amante del vintage.
La forza visiva scaturita è incredibile, tanto da far affermare: “Non ho mai visto un Rosenkavalier, più magnifico, gustoso e opulento” (Süddeutsche Zeitung).

@Ruth Walz
Arbesser sembra quasi aver fatto poi il gioco di Strauss: prende l’ambientazione voluta da Heller e la arricchisce del presente, parla della “facciata” di ciascun personaggio, quasi a nascondere ma anche amplificare la loro intimità. Un’ambivalenza che ritroviamo anche nell’opera stessa.
“Der Rosenkavalier -racconta Arbesser – è una storia spiritosa di amore, relazioni e società con ricchi costumi ispirati alla bellezza dell’Art Decò viennese. Mentre gli abiti dell’aristocratica Marschallin sono sinonimo di modernità sofisticata e mondanità con intensi blocchi di colore accanto alla grafica in bianco e nero, alla festa di fidanzamento di Sophie le ragazze ricche della città competono per l’abito più sopra le righe”. E, com’è nello stile dello stilista, le ispirazioni giungono dalla grafica, dall’architettura, dalla pittura di Klimt.

@Ruth Walz
L’atmosfera multiculturale dell’Art Decò è poi ulteriormente enfatizzata da Xenia Hauser, artista viennese che dopo quasi 30 anni di stop, è così tornata al design del set d’opera. E il richiamo è quello al japonisme che nel primo Novecento inebriò l’Europa, dopo che nel 1854 il Giappone pose fine a un lungo periodo di isolamento politico.

@Ruth Walz
Un’esperimento perfettamente riuscito, un tripudio dell’arte nella sua concezione più ampia (alla bacchetta c’era Zubin Metha e nel cast Günther Groissböck e Nadine Sierra tra gli altri), che così tanto mi chiama alla mente ciò che in Parade fecero Erik Satie, Jean Cocteau, Pablo Picasso e Léonide Massine. Eccone qui uno stralcio, da non perdere.
Veronica Pederzolli