Tappa italiana per il tour di Riccardo Muti con la Chicago Symphony Orchestra che dopo Colonna, Vienna, Lussemburgo e Parigi domenica arriverà a Napoli, per poi esibirsi anche a Firenze e Milano.
Si tratta della seconda delle tre tournée affidate al maestro italiano per la stagione 2019-2020 della Chicago Symphony Orchestra. La prima, più piccola, è stata a novembre, con due concerti a New York, la seconda, in corso, è quella europea, mentre la terza, in febbraio, porterà la Chicago a Miami, Sarasota e Napoli.
Muti lo conosciamo tutti per la qualità di alcune sue interpretazioni, quelle di Verdi soprattutto, per la severità che lo contraddistingue nei racconti dei musicisti che hanno lavorato con lui, per la gentilezza raccontata da chi invece per un motivo o per l’altro ci ha mangiato assieme un piatto di pasta. Da molti riconosciuto come il Maestro continua a far parlare di sé e non rifugge i canali più mediatici: i cicli di prove e concerti e le sue lezioni in onda su Rai5, la RMMUSIC, il libro pubblicato lo scorso maggio, una sorta di “autobiografia intellettuale” in cui rivela che dirigere spesso lo fa sentire solo su un’isola in preda alle intemperie, e poi quel “Riccardo! Ma sei tu?” dello spot della TIM sulla storia del Mausoleo di Augusto che ha fatto così parlare.
Un grande musicista e un grande impresario, senza dubbio, che per il San Carlo di Napoli – domenica alle ore 19 – sceglie il capolavoro della Suite da Romeo e Giulietta di Sergej Prokofiev e la nona sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Antonín Dvořák. Una suite a cui sono molto legata poiché una delle grandi colonne sonore della mia adolescenza, quando ancora sapevo a memoria in inglese alcuni dei più grandi passaggi shakespeariani. Ed è un legame che non nasce dalla vena romantica ma dalla potenza drammaturgia e comunicativa di queste pagine che narrano visivamente all’ascolto la famosissima vicenda.
A seguire quella sinfonia che Dvořák scrisse a un anno dal suo arrivo nel nuovo mondo, l’America, dove subito cominciò a interessarsi delle musiche delle popoli oppressi: i pellerossa e i neri. Un interessa che emerge subito sia nella vena melodica che nella svolta formale, più essenziale, e che consacra una delle più famose composizioni di Dvořák, che allora era già uno dei compositori più famosi europei. Si pensi che fu invitato a dirigere il conservatorio di New York per la “modica” somma di 15000 sterline. Una marea di soldi per il 1892.
Lunedì 20 alle ore 20 all’Opera di Firenze e mercoledì 22 alle 20 al Teatro della Scala si cambia programma. Innanzitutto l’ouverture da L’Olandese Volante di Richard Wagner, un’opera che adoro. Innanzitutto per quella superstizione del mare diffusasi nel 1700 con i numerosi avvistamenti del vascello fantasma lungo le coste dell’Africa. Un mito che prima di arrivare alla musica aveva già toccato la letteratura, pensiamo a La ballata del vecchio marinaio di Samuel Coleridge per esempio o alla leggenda raccontata dalla penna di Heinrich Heine. Proprio attorno a quest’ultima nascono le pagine di Wagner dopo che, essendosi imbarcato per Londra in fuga dai debiti, fu costretto da una terribile tempesta a sbarcare sulle rive norvegesi. E anche qui vi sono personaggi immediatamente delineati musicalmente: un tema per l’Olandese, uno per Senta e uno per i cori di marinai norvegesi.

Un’espressività potente, ma questa volta mai descrittiva, caratterizza anche la sinfonia di Mathis der Maler, la terza opera composta da Paul Hindemith. È Mathis Nithart-Gothart il “Mattia pittore” a cui si riferisce: rivoluzionario e pittore conosciuto per la visione allucinata della religione nella pittura, in un certo similare a quella di Bosch. E quindi è una sinfonia piena di riferimenti al canto gregoriano e alle melodie popolari tedesche, oltre che ricca di principi estetici che guardano all’arte come unica possibilità per il raggiungimento di una moralità incontaminata.
Chiude il programma a Firenze e alla Scala la Terza sinfonia di Prokofiev, nata anch’essa dal teatro: quando al compositore russo non eseguirono l’opera L’Angelo di fuoco pensò bene di ritagliarne tutte le parti sinfoniche più pregnanti e riciclarle in una sinfonia. Protagonista dell’opera era Renata, ragazza in preda a ossessioni psicopatiche e innamoratasi di un angelo di fuoco, che fu mandata al rogo come strega. Ecco che la sinfonia continua a essere pervasa di un sottile fremito dostojevskiano, da un’ossessione latente che tiene ancorati all’ascolto, come una calamita.
Veronica Pederzolli