Oggi (sabato 7 dicembre) alle 17:30 la mia postazione è pronta: portatile su RaiPlay, cellulare impostato per twittare, tè caldo e qualche stuzzichino. Tosca poi convince, interessante nei piccoli cambiamenti operati da Chailly e sempre coerente dal punto di vista interpretativo. Qui i commenti a caldo.
NEL PRIMO ATTO SI SCALDANO I MOTORI
4 minuti di applausi a Sergio Mattarella quando arriva sul Palco Reale: nessuno poi ne ha ricevuti altrettanti. Una volta terminati Chailly ha subito attaccato con l’inno italiano.
Alfonso Antoniozzi è il grande vincitore di questo atto, attore come non mai. Vocalmente perfetti sono Salsi, ancora un poco “bonaccione” per il ruolo di Scarpia, e Meli, che nel primo atto regala la sua performance più convincente. La Netrebko non convince ancora, sopratutto nei gravi.
Sul palco la chiesa di S. Andrea è una giostra che continua a girare: fa pensare alla fugacità del “giro” di ciascuno su questa terra e all’inesorabilità di alcuni ingranaggi. Non convince del tutto.
Sono ripristinate cinque misure nel duetto Tosca-Cavaradossi: in risposta a «Oh come la sai bene, l’arte di farti amare» c’è una piacevolmente melodica risposta di Cavaradossi «Non è arte, è amore, è amore, è amore». Più inutile invece quel «Si, si, ti credo» di Tosca.
Raina Kabaivenska, intervistata tra il primo e secondo atto, non sembra del tutto convinta della Tosca della Netrebko, ma riconosce la sua levatura da primadonna.
IL SECONDO ATTO CONVINCE, ANCOR PIÙ DEL PRIMO
Un bel 9 ai protagonisti
Salsi è entrato pienamente nel ruolo, ineccepibile, e la Netrebko fa spuntare la pelle d’oca in Vissi d’arte e dimostra grandissima presenza nell’uccisione di Scarpia, sanguinaria.
Geniali due trovate registiche: l’alzata del palco su «Aprite le porte, che n’oda i lamenti»per lasciar guardare la tortura inflitta a Cavaradossie l’improvviso apparire degli affreschi nel buio totale dopo che Tosca ha ucciso Scarpia. Qui con le mani insanguinate è osservata e sicuramente giudicata dal clero che ne è raffigurato, ma ha anche dietro la sua controfigura: c’è anche lei a riguardarsi e giudicarsi.
Azzurro come l’alba e rosso come il sangue: il vestito di Tosca nel secondo atto è ispirato a un Boccanegra della Callas.
Chailly con l’orchestra mappa l’andamento psicologico dei personaggi: le infiammate di Scarpia, la gravità dell’atto di omicidio e il flusso del dramma interiore di Tosca.
Faccia da “ops” per la Netrebko che nella Scena quinta al posto di «Voglio avvertirlo io stessa» richiede «Chi m’assicura?». Sbaglio di pochissimo conto considerata la sua performance nel secondo atto, ma peccato per la reazione.
TERZO ATTO MAGICO
E la magia è tutta creata dall’orchestra – il cui suono trovato da Chailly è sempre piacevolmente rotondo – e dalla scenografia. Qui un’ala di San Michele Arcangelo si estende attorno a Castel Sant’Angelo, dietro il quale scorrono impetuose le nubi.
Meli di grandissima musicalità, delicato e impetuoso al contempo. C’è chi lo paragona – con fare impietoso – a Pavarotti, ma convince, anche in E lucevan le stelle. Costruisce assieme alla Netrebko una scena di pura dolcezza e sincerità prima che arrivi Spoletta con i suoi scagnozzi.
La Netrebko riesce riesce a tenere con il fiato sospeso nonostante tutti conoscano il finale e valorizza lo strazio dell’aggiunta del «Povera Floria tu! O Mario, tu finire così!» dopo la morte di Cavaradossi.
Tosca non cade ma viene inghiottita dall’oscurità della morte e del male sulla ripresa di E lucevan le stelle ripresa da questa nuova edizione critica nel finale. La soluzione registica è nuovamente geniale perché nell’essere inghiottita si libra nell’aria. E dunque vola, è libera.
Il pubblico applaude entusiasta. Le ovazioni sono per Salsi, Netrebko e Livermore.