Meno tre giorni alla Tosca che sabato 7 dicembre alle 18 inaugurerà la Stagione 2019/2020 del Teatro alla Scala. Alexander Pereira, Sovrintendente e Direttore artistico del Teatro alla Scala, parla di “nervi fibrillanti” in attesa della Prima e tiene a sottolineare: «la generale di ieri [domenica n.d.r] mi ha confermato che potrebbe essere una Prima straordinaria”. Poi senza dilungarsi molto nei particolari racconta che lunedì Anna Netrebko non si è sentita bene e così Pereira l’ha lasciata tranquilla: non può di certo mancare tra il cast stellato che sabato Riccardo Chailly guiderà nella nuova edizione critica di Tosca, curata per Ricordi dal musicologo e docente britannico Roger Parker.
La fortuna e la gioia è di poter condividere questo titolo con Anna Netrebko e con Saioa Hernández, che ritorna dopo l’inaugurazione dell’anno scorso, dopo Attila, e ritrovare artisti a cui io devo molto per la convinzione e per la bravura interpretativo-vocale. Come Francesco Meli, che torna nell’inaugurazione con me dopo Giovanna d’Arco, e chiaramente Luca Salsi dopo l’Andrea Chénier di pochi anni fa. Quindi è un po’ un ritrovare tutti i personaggi con cui ho lavorato, è la soddisfazione di portare avanti un percorso
Riccardo Chailly

Un percorso che da anni scava sulle prime edizioni di Puccini e che questa volta regala otto inserti a sorpresa. Tra questi il Te Deum del primo atto tutto a cappella e un finale sinfonico che raddoppia il tempo teatrale: nel momento in cui Tosca si getta nel vuoto parte un tutti orchestrale su E lucevan le stelle, la famosissima aria che fu l’unica cosa buona individuata all’epoca da Giulio Ricordi in quest’ultimo atto pucciniano. Lo ritenne infatti troppo statico rispetto al serrato ritmo dei due antecedenti, che consacrano l’azione come una delle principali protagoniste di questa opera. Lo notò al primo ascolto anche il grandissimo critico milanese Alfredo Colombani che il il 14 gennaio 1900 era seduto al Teatro Costanza di Roma per la prima di Tosca. Allora era girata la voce di una possibile bomba durante la rappresentazione e non mancò un po’ di tensione in teatro, anche grazie al tema così anticlericale del dramma di Victorien Sardou e delle numerose interruzioni con cui Puccini continua a spezzare l’azione. Così all’indomani Colombani scrisse: «S’intitola melodramma questa Tosca, ma non lo è propriamente. Nel melodramma, quale italianamente noi intendiamo, i confini della musica sono assai meno ristretti dalle esigenze dell’azione».
Tosca fu infatti un’opera avveniristica per il tempo: in Italia andava di moda il realismo e invece qui Puccini guarda all’opera francese, tratta il poliziesco anticipando poi il racconto cinematografico e racconta degli sporchi ricatti sessuali del malvagio Scarpia sulla bella cantante Tosca.
La forza inventiva di questo «inedito» è nell’additare un monstrum umano che nessuna musica aveva sinora guardato in faccia. E che il Novecento musicale guardò, sempre più volentieri. Salome, Elektra, Wozzeck: si dovrà ben trovare il coraggio, un giorno o l’altro, di nominare Tosca nella lista; cronologicamente verrebbe al primo posto.
Fedele d’Amico

E il bello è che è tutto scritto in partitura, come conferma lo stesso Davide Livermore che per la Prima della Scala curerà la regia: qui il suo più grande regista di riferimento è lo stesso Puccini. E così dà voce a quell’amore che anche in Tosca Puccini dimostrò per le figure femminili nelle loro dimensioni prigioniere del quotidiano, lasciando in secondo piano la questione politica, cara solo a Sardou e al librettista Illica. Livermore allora sceglie di seguire i luoghi e le azioni dell’anima, in una visione decisamente cinematografica.
Abbiamo pensato di usare la scenografia al contrario. Ovvero fare in modo che la scenografia possa creare gli stessi movimenti dettati e suggeriti in maniera così potente dalla partitura per fare in modo di avere sospensioni, avvicinamenti, cambio di piano, soggetto, contro-soggetto. Questo fino al finale che ci ha portato la grande sfida di mantenere la tensione fino all’ultimo secondo e raccontare la disperazione di questa donna.
Davide Livermore
Non mancano poi quelle vedute spettacolari su Roma, che Livermore mantiene senza pensarci due volte. Puccini ne aveva restituito uno spaccato a mo’ di Grande Bellezza del XIX secolo: il bigottismo e la corruzione dei suoi abitanti – clero compreso – è incastrata e si fonde con quello spirito monumentale ed eterno che l’ha sempre caratterizzata.