Anna Pirozzi è una donna sicura, va dritta al punto senza tanti giri di parola. La sua storia musicale inizia nella musica leggera e poi inciampa nella lirica per caso: in pochi anni debutta al Regio e dà il via a una scalata che oggi la riconosce tra i più grandi soprani drammatici di coloratura dei nostri giorni. Donna con i pantaloni e la risata pronta, ha appena debuttato al Metropolitan Opera di New York, completando un quadro che l’ha già vista esibirsi nei più grandi teatri d’opera del mondo. Al MET ha portato uno dei suoi ruoli preferiti, Lady Macbet, che ha scatenato ovazioni già alla cabaletta Or tutti sorgete, ministri infernali del primo atto. A chiunque ancora non conosca la potenza di questa voce consiglio di cercarla, almeno su YouTube. Una garanzia.
Anna, si definisca con tre aggettivi.
Simpatica, esigente e affabile.
Dal pianobar alla lirica. Come è avvenuto questo passaggio?
A un certo punto decisi di iscrivermi in Conservatorio per imparare a leggere la musica e lì il mio maestro per invogliarmi a conoscere e apprezzare l’opera mi fece sentire la voce di Maria Callas, cantava Casta Diva. Per me fu un colpo di fulmine.
E poi ancora il salto con i debutti del 2012 e 2013 con Palumbo e Muti. Prima era sicura che ce l’avrebbe fatta?
No, assolutamente. Quando però vinsi questa audizione al Regio e poi altre audizioni importanti, come quella per il Teatro di Parma, mi dissi che forse potevo tentare questa strada. Prima ero molto demoralizzata a riguardo, ma oggi so di avercela fatta.
E se domani dovesse ritornare al pop con un cd di cover, quale sarebbe il singolo di punta?
Sicuramente I Will Always Love You di Whitney Houston! L’ho cantato così tanto prima di intraprendere questa carriera…
Il 1 ottobre ha debuttato al Metropolitan. Come interpreta la presenza in cartellone di due tipologie sopranili così diverse per lo stesso ruolo, la sua e quella di Anna Netrebko?
Mah, diciamo che la scelta si è basata sull’esperienza in questo ruolo. Io ho cantato tantissime volte Lady Macbeth con ottimi risultati e così hanno scelto chi davvero potesse dare il meglio in questo ruolo. Sono molto felice di come il pubblico newyorkese mi ha accolta, spero di tornarci presto!
Verdi, che sosteneva che Lady dovesse essere più un demone che una donna, quale tipologia vocale crede avrebbe preferito?
Sicuramente la mia! Lui voleva sentire un modo diabolico di cantare, costruito attraverso colori particolari e accenti particolari. Ovviamente voleva anche un soprano di tecnica con una bellissima voce ma che avesse anche la possibilità di imbruttirla con effetti sgradevoli, come ho fatto io, soprattutto nella scena del sonnambulismo.

Lady Macbeth è infatti uno dei suoi cavalli di battaglia da anni! C’è stata nella sua interpretazione un’evoluzione di questo personaggio dall’esordio in questo ruolo?
Assolutamente si, e questo non è successo solo per Lady Macbeth ma per tutti i ruoli che canto molto, come anche Abigaille in Nabucco. Ogni volta aggiungo qualcosa sia nell’interpretazione che vocalmente. Continuando a studiare la mia voce è infatti in evoluzione e in miglioramento e così evolvono anche i miei personaggi. Oserei dire che non sono mai uguali e cambiano addirittura già da una sera all’altra.
È vero che al MET terminata la recita ha baciato il palco?
Si! [ride] Il Metropolitan è uno dei teatri più ambiti da tutti i cantanti. Esserci arrivata per me è stata veramente una grande emozione e ho voluto ringraziare così, con un bacio al palcoscenico. Ho ringraziato sopratutto il pubblico che è stato calorosissimo. Davvero, il pubblico migliore che abbia mai incontrato assieme a quello del Teatro Colón di Buenos Aires.
Lei però è anche mamma. Qual’è la sua giornata tipo?
Quando sono in produzione purtroppo sono sola perché da quando la mia figlia più grande, Leonora, ha iniziato ad andare a scuola la mia famiglia non ha più potuto seguirmi come aveva fatto nei sei anni precedenti: eravamo sempre tutti assieme, ovunque andassi. Però quando sono a casa mi sveglio presto con loro, ci prepariamo e li accompagno a scuola. Poi torno a casa a studiare, vocalizzare e poi il classico: si prepara il pranzo, si fa qualche commissione e un giretto qui in Svizzera, dove alla fine non sto mai.
Se potesse far conoscere ai suoi figli uno dei grandissimi colleghi che ha incontrato sulla sua strada chi sceglierebbe?
Tra i direttori sono stata molto affascinata da Zubin Metha. Con lui sostituì all’ultimo una collega e nonostante conoscessi il ruolo ero agitata perché quella sera avrei debuttato sia in teatro che con lui. Metha però riuscì a infondermi grandissima tranquillità: respirava con me, mi guardava e mi sorrideva. Si creò un’atmosfera magica e alla fine della recita lui si avvicinò a me e mi disse: “Ma signora, lei è anche musicista!”. E io ridendo risposi: “No no, sono solo cantante!”. Ma sapevo che lui era riuscito a ispirarmi tantissimo e che assieme avevamo fatto tantissima musica. Poi fra i colleghi ne ho trovati tanti eccezionali, anzi tutti!
Nell’opera la contemporaneità è spesso interpretata dalla regia. È davvero solo così che si può rendere “attuale” un’opera del passato?
Ahimè, non amo molto la contemporaneità, sarò old fashion ma preferisco le opere classiche, ambientate nel secolo in cui sono state scritte e con i giusti costumi. Ogni tanto arrivano però queste regie con idee nuove e ambientazioni diverse: se hanno una logica e seguono comunque il libretto, la drammaturgia va bene, ma ce ne sono alcune che travalicano musica e libretto. Queste le elimino.
E l’attualità non è data anche dall’aspetto musicale dell’interpretazione?
Mah, la tecnica è sempre quella, anche se sicuramente è in evoluzione, così come sono cambiati anche la percezione e l’orecchio degli ascoltatori. Va però detto che ogni volta che uno spettatore rimane deluso va poi a ripescare il passato: “eh, se ci fosse stata la Callas!”. Vogliono sentire il bel canto.
Eyeliner o rossetto?
Eyeliner
Nella prossima vita farebbe ancora la musicista?
Si, certamente.