Il filologo Erich Auerbach di fronte alla rivoluzione linguistica messa in atto da Dante nella Divina Commedia scrisse nel 1956: «si arriva alla convinzione che quest’uomo abbia con la sua lingua riscoperto il mondo». Ecco, Beethoven con le sue sinfonie fece esattamente lo stesso: subito diventarono un passaggio obbligatorio per i compositori e le orchestre da Beethoven a questa parte e l’attacco della Quinta o il coro finale della Nona ancora oggi fanno parte del patrimonio popolar-culturale delle persone, esattamente come la prima terzina della Divina Commedia.
Figuriamoci poi quanto queste sinfonie diventino una tappa obbligatoria in occasione del duecentocinquantesimo anniversario dalla nascita del compositore: nel 2020 di Beethoven si sentirà parlare spesso. Ecco dunque perché gran parte delle maggiori istituzioni sinfoniche italiane hanno deciso di partire da qui con la Stagione 2019-2020.
Lo ha fatto il Teatro La Fenice con Leonore n.3, con la Fantasia corale e la Terza sinfonia sabato 12 ottobre.

Lo ha fatto l’Orchestra della Rai, inaugurando l’11 e il 12 ottobre con l’ouverture Egmont di Beethoven ma proponendo il grande Maestro di Bonn anche nei due concerti successivi. Il 17 e 18 ottobre, rispettivamente alle 20:30 e alle 20 all’Auditorium Rai di Torino, è offerto l’indomabile contrasto delle pagine dell’ouverture Coriolano op.62, composta nel tumulto che poi diede la luce alla Quinta sinfonia. Accanto il Concerto per violino op.61, interpretato dal cinquantenne tedesco Frank Peter Zimmermann, uno dei più grandi violinisti della sua generazione. L’eleganza distesa di queste pagine sarà cantata dal suo Stradivari “Lady Inchiquin”del 1711 e diretta da James Conlon, direttore principale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai per questa stagione. Per il direttore statunitense «Beethoven è come il Vangelo, sempre nuovo», come confessa a La Stampa prima del concerto inaugurale. Ancora sua la bacchetta per i concerti del 24 e 25 ottobre. In programma la Sesta sinfonia, la Pastorale, che per capirla basta pensare al sottotitolo «ricordo della vita dei campi» o dare un occhio alla pittura di Franz Hegis – probabilmente questa scelta non piacerà a Beethoven che per la Sesta specificava «piuttosto espressione del sentimento che pittura».

Lo farà giovedì 17 ottobre alle ore 20 (in replica poi il 19 alle 17) anche l’Orchestra I Pomeriggi Musicali che al Teatro Dal Verme di Milano inaugurerà con la Nona sinfonia diretta dal giovane affermatissimo James Feddeck, che proprio sul palco milanese nel 2017 fece il primo concerto italiano. La sua grandissima immaginazione musicale nacque sull’organo, ma ora sempre stupisce nelle letture orchestrali. Al Teatro Dal Verme giovedì 24 ottobre alle ore 20 (in replica il 26 alle 17) arriverà l’Orchestra di Padova e del Veneto diretta dal grande Günter Neuhold per una delle sinfonie più sconosciute di Beethoven: la Quarta. Robert Schumann la definì «una slanciata fanciulla greca tra due giganti nordici» mentre Hector Berlioz chiamò in causa proprio la Divina Commedia e le inevitabili lacrime di Virgilio nell’episodio di Francesca da Rimini.

A rompere curiosamente questo filo d’Arianna è stata l’inaugurazione della Stagione sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che ha optato per un altro anniversario. Quale? Proprio quello di Berlioz, di cui nel 2019 ricorrono i centocinquanta anni dalla morte. Giovedì 10 ottobre alle 19.30 (in replica l’11 alle 20.30 e il 12 alle 18) all’Auditorium Parco della Musica Antonio Pappano ha diretto la Grande Messe des morts. L’ha fatto con trecento musicisti tra orchestrali e coristi dell’Accademia Nazionale e del Teatro San Carlo di Napoli e al termine scherzando ha chiesto: «Siete sopravvissuti?». Ancora oggi quest’opera infatti mette alla prova l’ascoltatore con sedici timpani ed effetti stereofonici che all’epoca furono davvero avveniristici. Era il 5 dicembre 1837, un curato pianse sull’altare, una corista svenne e molti definirono questa Messe «tremenda».
