Duecentocinquant’anni fa nasceva Ludwig van Beethoven e lo sappiamo, non è mai morto. Sabato 12 ottobre alle ore 20 sul palco del Teatro La Fenice sarà il direttore ventinovenne Alpesh Chauhan a tenerlo in vita, assieme all’orchestra e al coro del Teatro. L’occasione è quella del Concerto inaugurale della Stagione sinfonica 2019-2020, che comincerà a raccontare del maestro di Bonn. E se chi ben comincia è a metà dell’opera, La Fenice può star tranquilla perché l’ouverture Leonore n.3 op.72b, la Fantasia corale op.80 e la Terza sinfonia, l’Eroica, già regalano un bello schizzo di quei tratti beethoveniani che poi saranno approfonditi durante l’intera programmazione.
C’è il sunto poetico di quell’unicum nella produzione operistica che è il Fidelio con il capolavoro della terza riscrittura della sua ouverture. Scartate infatti le pagine di Leonore n.1, Leonore n.2 venne eseguita con Fidelio il 20 novembre 1805 di fronte ai soldati di Napoleone che avevano appena occupato Vienna. Ma Fidelio non aveva ancora convinto del tutto il compositore che nel 1806 ne fece una revisione dando luce anche alla terza Leonore. Quest’ultima, enorme nelle dimensioni, è un vero e proprio cortometraggio del percorso di Florestano dall’afflizione del carcere alla libertà, così idealizzata da Beethoven negli squilli di tromba.
E che Beethoven fosse un grande idealista non è cosa nuova, come conferma anche quell’adesione al pathos repubblicano che lo spinse a intitolare Bonaparte la sua Terza sinfonia, poi divenuta Eroica per volontà dell’editore. Spartiacque tra la storia del sinfonismo beethoveniano, la Terza mostra sì ciò che c’era prima nei residui settecenteschi ma, anche, apre spavaldamente le porte al romanticismo. E lo fa sia dal punto di vista estetico – pensate che Beethoven propose di stamparne una partitura tascabile! – che musicale. Utilizza infatti uno spazio tematico a discapito del tema con nome e cognome nel primo movimento, taglia di netto sulla Marcia funebre e porta il consueto Scherzo a una velocità finora inaudita. Il movimento finale poi, in realtà il primo composto, è così appassionante, articolato, singolare. Qui “tutto si assomiglia e tutto è gioioso come in una festa popolare”, scrive Giorgio Pestelli.
Beethoven sapeva di aver aperto una strada che in molti ancora faticavano a comprendere e forse un poco temeva di non essere compreso. Così nel 1808 pensò bene di scrivere di getto una Fantasia corale che potesse chiudere in maniera più leggera il brivido possente della prima esecuzione della Quinta sinfonia. Fu un’idea così fulminea che l’introduzione alla Fantasia quella sera venne improvvisata, per essere poi messa per iscritto nel 1809, ma quelle della Fantasia sono pagine che raccontano dell’attenzione di Beethoven verso il suo pubblico e di un seme germogliato, che sedici anni dopo sfocerà nel monumentale lavoro della Nona.

È questo un grande debutto per Alpesh Chauhan sul palco de La Fenice. Il giovane inglese, che dall’autunno 2017 ricopre la carica di Direttore Principale della Filarmonica Arturo Toscanini, Beethoven lo conosce bene. Da novembre infatti per la Toscanini curerà il Ciclo Super Beethoven, dirigendo i maggiori capolavori del grande maestro. Le sue doti nell’amalgama del suono, nel bilanciamento delle parti e nel direzionamento della frase orchestrale hanno finora lasciato pochi delusi. E Chauhan – tra le varie – ha pure diretto la London Symphony Orchestra al Barbican Centre.