Mario Brunello risponde al telefono tranquillo, puntuale. È un violoncellista che suona e che ha suonato da solista con le più importanti orchestre al mondo e che ha fatto della musica da camera un luogo di ricerca assieme a grandissimi come lui. Eppure Brunello è sempre lì a ricordare che questo non basta con un’immediatezza comunicativa che il pubblico non manca mai di cogliere. La sua ricerca del suono, la sua personalità interpretativa marchiano a fuoco in teatro, in un capannone o sulle Dolomiti.
Seduta in un caffè intervisto quest’uomo gentile che il 18 ottobre inaugurerà le Bach Brunello Series facendo uscire per ARCANA il disco con le Sonate e Partite di Johann Sebastian Bach. La curiosità? Beh, questi sono pezzi violinistici e Brunello li suona con un violoncello piccolo.
Lei, il piccolo violoncello blu e Bach. Si potrebbe parlare proprio di una serie musicale a puntate?
Beh si, questo progetto è una serie che nasce dalla mia curiosità verso queste letture del repertorio violinistico con il violoncello piccolo e che fa da base alle possibilità di questo strumento che sono veramente sorprendenti. Credo poi che questa lettura possa dare voce nuova a questo repertorio. È un po’ come la storia del ritorno dell’abitudine alla voce controtenorile nell’opera dei primi del Settecento: dopo anni in cui queste parti erano affidate a voci femminili questo ha dato linfa a nuove possibilità musicali.
E se dovesse raccontare delle sue Series a un bambino quale sarebbe la trama?
Racconterei che è come leggere un libro di bei disegni, tutti collegati da bacchette magiche che fanno apparire e scomparire immagini tra stelline e cascate di polvere dorata. E questo vale soprattutto per le Suites, ambientate in spazi più vuoti e profondi. Esse sono coloratissime e piene di suoni nuovi.
Il suo è un vero connubio tra studio filologico e libertà interpretativa. Dov’è la linea rossa tra queste due componenti del fare musica?
Sta nella libertà e nella consapevolezza di essere vivi in questo mondo, in questa epoca che ha registrato nella propria mente suoni, eventi, possibilità che duecento o trecento anni fa non si potevano nemmeno immaginare. Questa libertà deve riuscire a collegare questi due mondi perché non possiamo dimenticare quella parte di memoria. Non possiamo ignorare il momento che ha fissato l’inizio di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, non possiamo.
Mettiamo che ora possa far ascoltare il primo album delle Bach Brunello Series a una persona mancata. Chi sceglierebbe?
Sono presuntuoso: Bach. Sono sicuro mi direbbe “le ho scritte per violino, ma questo suonone, questo corpo grosso del violoncello mi piace”.

Tra le sue collaborazioni si passa da Abbado a Koopman e poi fino a Paolini e Capossela. Insomma, lei è un grande amante di chi le cose le sa fare bene – oltre che della contaminazione.
Ecco, sono un grande appassionato di chi non usa questo termine “contaminazione” che mi fa venire i brividi perché dà l’idea di qualcosa che c’entra con la malattia. Io e Vinicio abbiamo coniato un termine che ci piace di più, impollinazione. E quindi mi piace lavorare con chi ama impollinare la propria attività artistica con altri interessi. Non mi interessa mescolare, ma aggiungere qualcosa a quello che faccio.
E lo fa giocando anche con gli spazi musicali, come dimostrano I suoni delle Dolomiti e Antiruggine. È ora che la musica esca dai teatri?
Si perché la musica è sempre stata ovunque. L’Ottocento l’ha un po’ costretta a entrare nei luoghi “adatti” e lì per fortuna ha trovato un linguaggio e un’espressione – quello dei grandi da Mozart e Beethoven in poi – che sono stati conditi dall’acustica e dalla ricchezza del suono. La verità, però, è che la musica è dentro di noi e non serve venga riflessa da importanti acustiche: la ricerca interiore del musicista che crea il suono è più interessante.
La sua ricerca sonora è molto simile a quella dell’alpinista, così ascetica, rispettosa, responsabile, silenziosa. Cosa incontra sulla cima?
La consapevolezza che bisogna tornare indietro prima di tutto e che non si può più salire. E poi la differenza sta proprio nell’arricchimento interiore che non si può raccontare se non con un video predisposto. Così però cambierebbe tutto e non ci sarebbe più il contatto diretto con l’avvicinamento, la roccia, la salita. Diventerebbe un far vedere. La musica però non deve far solo vedere, ma soprattutto scavare.
C’è qualcuno che più di altri in passato questa cima gliel’aveva indicata?
Tanti musicisti hanno delle caratteristiche così illuminanti. Ho sempre a memoria quelle due note che ho sentito fare a Miles Davis…in quel momento ho capito che tutto il lusso del bel suono, del belcanto era riluttante. Bisognava andare al di là: poche note ma graffianti.
Pärt o Tavener?
Pärt.
Beatles o Rolling Stones?
Beatles.
Si può non capire la musica?
Se si vuole? Certo!